Mi riaccucciai. Sostituendo la cartuccia esplosa il mio pensiero andò subito a Penny. Se l’avessi portata ad un field-trial, ci avrebbero sbattuti fuori subito tutt’e due: lei perchè non avrebbe saputo attendere neanche un secondo prima di piombare sul selvatico, io per non essere stato in grado di insegnarglielo. Sorridevo su questo, immaginando il grugno indignato di certi giudici nostrani dall’aplòmb britannico, scandalizzati dal fatto che la vivace cagnolina non ne voleva sapere di andare prima di qua e dopo di là, come loro avrebbero voluto. Mentre con gli occhi della mente gustavo la scenetta ed il suo finale di infamante espulsione, rientrò Pennyblack in un sfraschìo di rovi con l’anatra fra i denti. Provai un tuffo al cuore. La strinsi a me e l’accarezzai felice: mi sarei fatto espellere da tutti i field trials di questo mondo per un’amica come lei.
Era passata più di un’ora dalla cattura della femmina di germano e nessun altro selvatico aveva incrociato la sua rotta con quella del laghetto da noi presidiato. Sciolsi fra i denti un pò di cioccolato, mentre Pennyblack sgranocchiava con gusto un bel pezzo di pane essiccato al focolare di casa. La forzosa inattività che questo tipo di caccia implica, aumentava la percezione di un freddo già di suo abbastanza pungente ed invita di tanto in tanto a ristorarsi. Gustata l’ultima stilla di cacao, mi alzai, e andai a disporre in una posizione avvistabile un fazzoletto bianco aperto, tenuto fermo con qualche pietra. E’ un vecchio stratagemma che avevo appreso da mio nonno e serve per attirare le pavoncelle. Naturalmente gli stampi sono meglio, ma quella è roba seria che lascio ai professionisti in queste cacce: per un “canaio” come me, il telo bianco va più che bene. Aspettavo, guardando lo stagno e seguendo le evoluzioni di alcuni uccelletti; avevo la schiena indolenzita e le ginocchia fredde mentre iniziava a far capolino la noia, a caccia la compagna più sgradita. Pennyblack era in giro, per il consueto giro esplorativo che ogni dieci minuti compiva

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terrorizzando gli uccellini, quando una leggera, istantanea ombreggiatura attraversò la mia percezione visiva. Alzai la testa d’istinto, appena in tempo per vedere una coppia di alzavole che mi sorvolavano. Incannai la prima e le sparai dietro la veloce cartuccia a piombo fine, vedendola piombare giù a picco. La seconda anatrella invece, riuscì a passare attraverso la rosata del cinque e ad allontanarsi sfrecciando come un folletto. Penny si tuffò prendendo a nuotare come un sommergibile in direzione dell’uccello abbattuto e riuscii a vederla nuotare fra le erbe affioranti per cercare l’alzavola, apparendo fra i ciuffi gialli solo a tratti. La labrador si spostò verso il centro del lago, sollevò il naso assaggiando l’aria e piegò alla sua destra per ritornare fra la vegetazione da cui, pochi istanti dopo, riemerse portando con sé l’anatra esanime. Gliela presi complimentandola calorosamente, e ricevetti in pieno viso l’effetto di uno scrollone di acqua gelida. Sarebbe un’altra ragione per essere squalificati, le ricordai tornando all’appostamento. Per tutta risposta, si alzò sulle zampe posteriori, mise le anteriori sulla mia cintola, e uggiolò di gioia, come a rispondermi che lei era una ragazza seria e concreta, e a quelle cose là, non ci aveva mai nemmeno pensato…
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