Serve un deciso cambio di approccio sul ruolo dell’attività venatoria in Italia, non solo per contrastare in modo più efficace l’espansione degli ungulati e di altre specie problematiche, ma per diffondere la consapevolezza che la caccia costituisce in Europa un mezzo sostenibile per valorizzare (economicamente, culturalmente, ecc.) le aree rurali e certi beni naturali rinnovabili, che diversamente (ovvero mal gestiti o non gestiti) non inducono reddito e possono al contrario risultare un problema anche dal punto di vista economico e sociale. Il contributo sociale dei cacciatori alla gestione degli ungulati selvatici non si limita all’aspetto venatorio, essendo praticamente le uniche forze sul campo (anche all’interno delle Aree Protette, benché gli Enti gestori tendano opportunisticamente a non renderlo di pubblico dominio) in grado di prestare opera di volontariato nelle attività tecniche di “controllo” del cinghiale e di tutte le specie problematiche. Questo ormai da decenni. Orbene, una recente “interpretazione rigida” del dettato dell’art. 19 della Legge n. 157/1992 da parte della Corte Costituzionale (sentenza 14 giugno 2017 n. 139, che ha avuto ad oggetto la L.R. Liguria n. 29/2015) – si noti, avvenuta dopo 25 anni di diversa interpretazione della Legge da parte di tutte le Regioni – ora intende precludere proprio questa funzione sociale ai cacciatori, a meno che siano anche proprietari o conduttori dei fondi interessati o siano residenti nelle province autonome di Trento e Bolzano. Un assurdo, da
qualunque punto di vista lo si intenda vedere, al quale occorre che il Legislatore nazionale ponga rimedio quanto prima. Per la verità ciò si applica ai territori aperti alla caccia e alle aree precluse a norma della Legge n. 157/1992; paradossalmente, nelle Aree Protette a norma della Legge n. 394/1991 (es. i Parchi Nazionali e Regionali), dove, appunto, quasi si ha pudore a rivelare l’impiego dei cacciatori nelle attività di “controllo” della fauna selvatica, questo è pienamente legittimo.
Tornando alla prevenzione degli incidenti stradali, inutile dire che occorre anche una prevenzione tecnicamente efficace, basata sia sul controllo delle presenze degli ungulati nelle aree più a rischio, sia sulla realizzazione di infrastrutture di trasporto tecnicamente sicure ed ecologicamente sostenibili. Nel primo caso è evidente che non si possono tollerare cinghiali nelle aree di pianura intensamente coltivate, com’è quella nei pressi di Lodi dove è avvenuto il grave incidente. A prescindere dalle attuali difficolta normative, necessita che le Regioni codifichino queste aree e si organizzino con un’efficace rete di monitoraggio e attraverso la costituzione di “squadre di pronto intervento permanenti”, alle quali sia affidato il compito di rimuovere prima possibile gli ungulati che vi si introducano, costituendo un rischio per la pubblica incolumità e le colture. Questa funzione dovrebbe essere permanente e non soggetta a singole autorizzazioni. Nel secondo caso il problema va distinto tra le infrastrutture stradali ordinarie (soprattutto in collina e montagna) e le autostrade o super-strade. Nelle prime il problema è più complesso e può essere affrontato monitorando i tratti stradali storicamente più critici (come alcune Regioni già stanno facendo) dove predisporre set di misure, quali fasce di rispetto prive di vegetazione arbustiva e arborea a margine della carreggiata e/o dispositivi deterrenti per gli ungulati (dissuasori ottici riflettenti, barriere olfattive e sonore), o sistemi segnalatori per gli automobilisti, attivati da sensori che captano l’approssimarsi degli animali alla sede stradale. Misure evidentemente applicabili solo nei tratti più critici, che comunque stanno dando risultati concreti dove sperimentati. Il caso delle strade a scorrimento veloce, nelle quali è d’obbligo una recinzione laterale, con un approccio semplicistico si potrebbe dire che le recinzioni debbono essere realizzate a regola d’arte e in seguito vanno monitorate e sottoposte a costante manutenzione. Il tema vero è che purtroppo le recinzioni esistenti nella maggior parte delle autostrade e super-strade italiane sono appena in grado di contenere un animale domestico, ma non sono tecnicamente costruite per impedire il passaggio di ungulati selvatici (o lupi e orsi) motivati a passare in un punto qualsiasi. Non solo i cinghiali possono facilmente oltrepassare una rete non adeguatamente interrata (come pare sia avvenuto nei pressi di Lodi), ma tutti gli altri ungulati possono con grande facilità saltare le modeste recinzioni oggi in essere. Per non parlare della scarsa manutenzione di dette recinzioni, come ognuno può constatare, frequentemente avvolte dalla vegetazione rampicante. Inutile dirlo, l’odierno scenario faunistico del territorio italiano è alquanto diverso da quando furono realizzate le principali autostrade italiane, in primis la cosiddetta “autostrada del sole”.
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