di animali imbalsamati, dagli uccelli più comuni, ai rapaci di cui si può ammirare una collezione vastissima, fino ai galli cedroni, ai tetraonidi e perfino ai carnivori come il gatto selvatico e l’orso bruno. Proprio la vista di quest’ultimo innesca nel sindaco Dengler la voglia di raccontare un aneddoto spiritoso: quando venne cacciato nella vicina Boemia, l’orso venne affidato alle cure di un abilissimo tassidermista, il quale dopo averlo preparato lo caricò sul suo furgone e si mise in viaggio per Falkenstein. Giunto in paese, parcheggiò il veicolo e si fermò a sorbire un caffè. A metà tazza, una serie di urla agghiaccianti ruppero il tranquillo via vai quotidiano della cittadina: una donna, tornando a casa dal mercato e passando accanto alla macchina, si accorse di quell’orso che la guardava da dietro il finestrino e ne ricavò un memorabile spaventone. “L’orso aveva venduto cara la pelle fino all’ultimo!”
, conclude il sindaco ridendo di gusto. Poco più in là una teca racchiude una piccola meraviglia: è un capriolo albino, cacciato durante gli anni sessanta nelle foreste bavaresi ed è la prima volta che ne vedo uno “dal vivo”. In un attimo compio un salto dimensionale. Mi ritrovo in una profondità senza confini, fra felci e possenti conifere; sento il legno rassicurante della carabina in mano, il terreno morbido sotto gli stivali, l’umidità resinosa dell’aria fra le narici. Aspetto, accarezzo la superficie rugosa di un albero, poi vedo la strana creatura bianca muoversi fra le piante. Sono ipnotizzato, suggestionato da quell’animale che pare un unicorno mitologico. Lo sparo mi riporta al castello. Sono davanti ad un essere che di certo ha regalato un’emozione unica al suo cacciatore e nonostante adesso sia solo una pelle impagliata, qualcosa della sua anima è ancora percepibile per chiunque compia anche un esiguo sforzo di volontà.
Mi stacco da lui, e davanti a me ci sono le teche di un settore dal sapore leggendario. Livree di astori e falconi si susseguono a decine, raccontando ognuno la sua storia di predatore dell’aria o di nobile compagno di avventure per chissà quale fortunato cacciatore. E poi gufi, poiane, civette nonché cappucci, logori, guanti e ogni altro attrezzo che serviva, e serve ancora, all’ “arte venandi cum avibus”, per dirla insieme a Federico II che otto secoli fa ne codificò mirabilmente i principi.
Falkenstein,la rocca dei falchi: di certo i curatori del museo hanno tenuto conto dell’onomastica quando hanno pensato e progettato questo santuario della caccia, se si considera il rilievo che è stato dato alla falconeria.
I santuari della caccia: la rupe di Falkenstein
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