L’umidità iniziava progressivamente ad avvolgerci nel suo abbraccio sgradevole, e tuttavia la cagnina appariva decisa e coraggiosa in modo completamente innaturale per una creatura piena di paure come lei. Andammo avanti così per non so più quanto tempo, fra graffi e fatica, appesantiti dalla coperta lattiginosa che adesso si adagiava su tutta la montagna.
La vidi in ferma per un caso a cui avevano concesso spazio l’intrico e la nebbia, e bastò quella vista per restituirmi quasi tutta l’energia fisica e morale che avevo speso per arrivare fino a lassù. Era bellissima in ferma, la mia Denny. Leggermente flessa sugli arti, con la coda tesa ed il dorso inarcato verso il collo teso in avanti, su cui s’innestava la sua testa femminile e quegli occhi asseriati da un espressione che stava a metà fra lo stupore e la curiosità. Nessuna cattiveria predatoria nei suoi occhi: mai, né quando
fermava e neppure quando abboccava gli uccelli per riportarmeli nel modo migliore che conosceva. Ebbene, da quell’incontro sulla montagna, Denny decise che sarebbe diventata beccacciaia. L’altra selvaggina la cacciava bene, ma la trattò sempre con lo spirito con cui un impiegato solerte evade una pratica, mentre invece le beccacce le descriveva a me e a chi aveva la fortuna di accompagnarci, come un artista di talento avrebbe immaginato e dipinto un’alba di primavera. Poiché madre natura non racconta quante beccacce mette in una determinata zona, nessuno in buona fede è in grado dire se il suo cane ne abbia trovate tante o poche: non era dunque il numero di beccacce che Denny mi faceva incontrare a darmi la misura della sua splendida vocazione, bensì si trattava del modo con cui lo faceva, della gioia, del desiderio che mostrava nel perseguire questa selvaggina a renderla una specialista di classe eccelsa. Al cospetto della regina, quella timida cagna dagli occhi dolci e dall’intelletto umano, si trasformava, cosciente o meno, in una specie di meraviglioso angelo vendicatore. Ne sentiva la presenza nell’aria, fra gli alberi, e
forse, chissà, ne percepiva persino l’arrivo dalle foreste del lontano nord, se è vero come è vero che in una giornata che minacciava temporale, ovvero una situazione nella quale lei non usciva affatto dal canile data la sua paura di lampi e tuoni, me la trovai fuori, accanto alla macchina che mi aspettava per andare a caccia. Ed io, che sapevo del suo problema e che quel mattino mi ero organizzato per uscire con la segugia, dovetti ritornare in casa, cambiare fucile e cartucce e farla salire nell’automobile ansiosa di felicità. Quella domenica ne trovammo sette e ne incarnierammo quattro nel breve spazio di tre ore mentre ci pioveva addosso tutta l’acqua di questo mondo, accompagnata da terrificanti tuoni di bassa quota e da folgori talmente vicine che ad un certo punto, beccacce o no, dovemmo scappare al riparo.
SPECIALE BECCACCIA : LA MAESTRINA DALLE TOPPE NERE…
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