Emanuele Morganti era un giovane cacciatore di vent’anni, innamorato della vita e della sua bella fidanzata. Aveva amici, interessi e passioni come la maggior parte dei suoi coetanei e non aveva fatto proprio niente per meritare la morte orribile che un branco di bestie umane gli ha inflitto due giorni fa.
Di questo tragico accadimento se ne stanno occupando a tambur battente i telegiornali e la carta stampata, quindi non aggiungerò, né potrei farlo, nessun nuovo particolare di cronaca. Ciò su cui vorrei far soffermare l’attenzione è un fatto che rende ancora più amaro sopportare il peso sociale di un dramma del genere. Sui social network, primo fra tutti il nostro amato Facebook, sono comparse frasi e commenti nei quali si inneggia alla morte di Emanuele perché cacciatore. “Era un cacciatore, ben gli sta. Non posso che gioire”, cinguetta una dolce fanciulla. “Quelli come lui meritano questa fine”, le risponde da perfetto lacchè l’illuminato animalista desideroso di guadagnare punti con la bella. “E’ solo una parte di quello che ha fatto soffrire a tante povere bestie”, gracchia un’occhialuta zitella ( chissà come mai tale..) residuata dal femminismo settantino.
Ecco quel che si legge. Domando a me, prima che a voi: è possibile che siamo arrivati a questo? E’ possibile leggere frasi del genere nel paese che ha insegnato la civiltà al mondo? E’ sopportabile che un giovane venga ucciso due volte dalla bestialità? No, non lo è. Ed ancor di più sale la nausea se pensiamo che le stesse “persone” che scrivono queste cose avevano sfilato con gessetti colorati e cuoricini con le dita, facevano veglie a lume di candela ( forse la zitella avrà confidato in qualche incontro galante..), erano Charlie e si velavano il profilo con le bandiere di varie nazioni.
Questo siamo diventati. Svegliamoci, prima che sia troppo tardi.