Lo spinone, in quanto cane da ferma è nato e si è sviluppato con l’invenzione delle armi da fuoco, quando anche i ceti non aristocratici, per vicende belliche e sociali si armarono ed approfittarono per esercitare la caccia in maniera meno pomposa e più, per così dire, privata. Questa è l’unica realtà plausibile, poiché anche durante i secoli d’oro della falconeria, i nobili non avrebbero mai cacciato con cani che non fossero di più che provata attitudine e di non meno che distinto aspetto esteriore. E difatti, non è un caso che la prima rappresentazione nella quale uno spinone viene raffigurato risale ad un affresco del Mantegna, sito nel palazzo Ducale a Mantova, e risalente alla seconda metà del quindicesimo secolo.
Come si sia sviluppato lo spinone quale cane da ferma, attraverso quali accoppiamenti e selezioni si sia primariamente formato, francamente non lo so, e non credo lo sappia nessuno. La cosa importante è che comunque le culle elettive dei primi esemplari pare fossero il piemonte e la lombardia, da cui la “razza” si diffuse nei secoli dal quattrocento all’ottocento, ma sempre a macchia di leopardo e mai in maniera davvero fluida. Nonostante ciò, lo spinone diventò il primo, vero cane da ferma “popolare” italiano, impiegato soprattutto in quegli ambienti marginali e poco interessanti per le cacce signorili, quali i boschi fitti o le aree paludose, ed entrando in contatto con ogni tipo di selvaggina possibile, con un occhio particolare a quella acquatica.
Ecco, queste, penalizzate da un’inevitabile esigenza di sintesi, sono le cronistorie delle razze da ferma nazionali, grossolanamente esposte ma utili, a mio avviso, per capire meglio le attitudini, gli stili di lavoro e le morfologie attuali dei nostri due fermatori, che in un prossimo articolo analizzeremo.
BRACCO E SPINONE: DUE STORIE ITALIANE…
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