Durante il Rinascimento, il bracco italiano divenne il preferito delle signorie locali del norditalia e della toscana, spesso legate da vincoli parentali con spagnoli, tedeschi e francesi a cui venivano donati esemplari adulti, coppie o cucciolate. Questo fatto, determinò da una parte un incremento dell’importanza e della selezione su basi venatorie quotidiane, e dall’altra un conseguente aumento dell’esclusività di possesso di questi cani sulla base del censo e del borsellino. Non era, e non fu mai, un cane del popolo o per il popolo. Venne quasi sempre impiegato in ambienti aperti, vasti, a caccia di qualsiasi selvaggina che potesse essere fermata in campo aperto, magari un po’ meglio di qualche secolo prima, e che potesse poi essere catturata dai tramagli tesi dai cacciatori. Fondamentalmente si trattava di pernici e fagiani, occasionalmente qualche lepre, molto raramente qualche uccello d’acqua.
Quidi, con alterne vicende, ma sempre navigando in ambienti signorili, il bracco italiano è giunto così fino ai giorni nostri.
BRACCO E SPINONE: DUE STORIE ITALIANE…
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