Tra tanti appassionati ricordi che la gentile ospite mi trasferisce, chiudo col racconto del suo ultimo incontro con un maestoso cervo: “Era un freddo pomeriggio d’inizio inverno e si faceva Natale. Le ore trascorrevano lente in compagnia di una lepre, e poi una volpe, mentre la neve era illuminata dalla luna piena e il cielo cristallino. Il freddo sull’altana faceva perdere la dimensione del tempo, che pareva allungarsi. Quando ogni speranza di avvistamento pareva sfumata, come una visione astratta ecco apparire dal
nulla il cervo imponente, che viene centrato. L’attesa del cacciatore viene sempre ripagata! Se non dal trofeo, certamente dall’aver vissuto in pura libertà e armonia con madre terra”.
Il cacciatore ama la natura, niente a che vedere con il bracconiere. C’è positività nella caccia di selezione, si rispettano tempi e regole. Tutto fluisce in un cerchio di rinnovamento incessante, com’è la vita.
“Le donne che vagano per luoghi selvaggi, compiono anche un percorso interiore: andare per luoghi selvaggi implica il riconoscimento di una dimensione ‘selvaggia’ dentro di noi. Questo è forse il valore più profondo di una simile esperienza, il riconoscimento della nostra affinità con il mondo della natura. Le donne che seguono Artemide nelle regioni impervie scoprono se stesse e per questo diventano più riflessive” (Women in the Wilderness, China Galland)
( in apertura: il lago di Lases; qui sotto: il Duomo di Trento)
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