Cari amici, vi rispondo
Non è frequente vedere un giovane nemmeno fra i boschi. E quando lo si vede va a caccia come un rambo. Bene ha fatto, caro Direttore, a evidenziare la situazione d’indeterminatezza valoriale in cui la caccia è finita. È l’ora di dirlo, anche se duole. La categoria dei cacciatori, ha toccato il fondo per colpe proprie e non. Come la nostra povera Italia, che per molti versi la vedo “desta” solo nell’inno di Mameli. La caccia è sempre più a rischio. Spira una brutta aria. “mala tempora currunt et peiora sequentur”. Sic. Non è facile essere ottimisti. Ed è sopratutto per i “beceri” che, oggi più di ieri, essa è sotto un processo mediatico senza fine. Oggi, atteggiarsi ad anticaccia è di moda. Oggi, nei e su i media la fanno da padrone epiteti e barzellette. Siamo un po’ diventati come i Carabinieri. Media, dove la categoria dei cacciatori non ha saputo entrare. E di questo rendiamo grazie all’associazionismo e all’editorialismo venatorio.
Ecco il traguardo raggiunto dei summenzionati tristi: la società a malapena ci sopporta. Bravi, anzi bravissimi! L’amarezza, caro Direttore e giovane collega, diventa tristezza
Nessuno è mai riuscito a fare entrare nella cervice della collettività che la caccia non è sparare agli animali come “il piattello”. È passione, è camminare nella natura, è il cane, è salute, è lo stare insieme, è convivialità, è ruralità. In una parola: è vita. Sopra ogni cosa è storia remota, arte e cultura. Tanto bastava divulgare sui media e nelle scuole di ogni ordine e grado.
La semina di fagiani pronta caccia ha sempre dato i lamentati risultati. E questo è niente. Di solito si raccoglie quello che si semina. Per tanti anni, ho visto solo seminare coglionate e stronzate. Sarà questo il motivo che quando sento parlare di gestione e comportamenti che fuoriescono dall’etica avverto flatulenza; più di quello che potrebbe causarmi un uovo marcio.
E non intravedo possibilità di ripresa, se no quello di un doloroso “De profundis”. Mi sentirei di scrivere: aspettando Godot. Che non arriverà né oggi, né domani e nemmeno l’indomani. Vorrei vivere ancora quel tanto che basta, fino a sentirmi dire un “fanculo” o un “avevi ragione”.
A preconizzare non si fa peccato. Specie quando la realtà è sotto gli occhi di tutti, tranne che degli struzzi. Tutt’al più mi sarà conferita la patente pirandelliana di jettatore, che spero di ricevere da vivo: almeno questa.
Con viva cordialità.
Francesco Materasso