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CACCIA E LETTERATURA: LA PENNA DI ARTEMIDE

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23 Settembre 2016 di Mario Sapia
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Turgenev2L’amore per la natura in sé, non poteva mancare dall’opera di un quasi contemporaneo di Arago, il russo Ivan Turgenev, autore del celebre “Memorie d’un cacciatore”. Turgenev, bozzettista della vita contadina e cantore della naturalità, a differenza del grandguignolesco Arago  fu un cacciatore appassionato.  La prosa del russo è scevra di ridondante retorica descrittiva, di esercizi d’effetto, di predilezione  per il drammatico, virando i toni su quegli aspetti di contatto più intimo e quotidiano con il paesaggio e gli animali. Per rimanere fra i suoi pari, lo diremmo più gogoliano e poco tolstoiano anche nel trattare argomenti come quelli venatori, che, volendo presterebbero bene la spalla alla drammaturgia della grandezza d’azione. In “Memorie d’un cacciatore” non si parla di caccia continuamente, ma quando questa viene in qualche modo toccata la sua descrizione è molto più vicina a quella che sarà la narrazione macchiaiola italiana che non agli affreschi della letteratura francese, amata a conosciuta da Turgenev ma da egli stesso tenuta dichiaratamente lontana dalla sua impostazione sceneggiativa. La mia copia delle “Memorie” appartiene ad una collana di classici russi edita da Einaudi all’inizio degli anni settanta. La traduzione, magistrale, è affidata a Clara Coisson e basterà seguirne brevemente il filo narrativo per renderci conto dello stile dello scrittore: “ Un quarto d’ora prima del tramonto, in primavera, entrate nel bosco col fucile ma senza cane. Vi scegliete un posto sul ciglio, vi guardate intorno, esaminate la capsula, scambiate strizzatine d’occhio col vostro compagno. Passa un quarto d’ora. Il sole è tramontato, però nella foresta fa ancora chiaro; l’aria è pura e trasparente; gli uccelli cinguettano garruli; l’erba giovane brilla come smeraldo…voi aspettate. A Turgenevpoco a poco l’interno della foresta si oscura; la luce purpurea del tramonto scivola lenta per le radici e i tronchi degli alberi…..il cielo vermiglio s’inazzurra. L’odore di bosco si fa più intenso; soffia un tiepida brezza umida; intorno a voi il vento tace. Gli uccelli si addormentano, non tutti in una sola volta, una razza dopo l’altra: ora tacciono i fringuelli, qualche attimo dopo i pettirossi, poi gli ortolani…..Soltanto i codirossi e i piccoli picchi continuano a fischiettare sonnacchiosi….Adesso hanno smesso anche loro….Il cuore langue nell’attesa, quando a un tratto, a un tratto nel silenzio profondo risuona un gracchiare, un sibilare del tutto speciale, si ode un batter cadenzato di ali veloci e una beccaccia, inchinando graziosamente il lungo becco, spicca il volo planando da una betulla scura incontro al nostro sparo”. Diversamente da Arago dunque, valentissimo esploratore ed osservatore ma poco più che un buon cronista, Turgenev è un maestro della penna ed un cacciatore vero. La descrizione, ad esempio, del personaggio di Ermolaj, servo della gleba con l’incarico esclusivo di procurare la selvaggina alla mensa padronale, e del suo cane Valetka, scheletrico bracco che doveva provvedere da solo al proprio sostentamento, rimangono fra i passi letterari venatori immortali, solo poche altre volte eguagliati.

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