Gli anni sessanta, con le economie rilanciate e le speranze rinnovate, consentono in più maggiori scambi commerciali ed editoriali con l’estero regalandoci tante pagine letterarie in cui la caccia viene toccata e descritta. Sono tanti gli autori, ma qualcuno deve essere ricordato. Il primo fra tutti è Mario Rigoni Stern. Lo scrittore vicentino è senza dubbio fra i più grandi autori italiani, ed il più grande venatoriamente parlando. Esordì nel 1953 con “Il sergente nella neve”, per i tipi della Einaudi, preceduto da una critica poco azzeccata e soprattutto poco lungimirante di Elio
Vittorini che lo tacciò di scarsa vocazione, lo stesso Vittorini che per invidia sociale si rivolgeva al principe Tomasi di Lampedusa chiamandolo “signor Tomasi” e stroncando scioccamente il “Gattopardo”. Però, esattamente come al capolavoro del grande siciliano, l’atteggiamento spocchioso di Vittorini portò fortuna al “Sergente nella neve” che diventò presto un classico della letteratura italiana contemporanea. E’ nel 1962 però, che Rigoni Stern trova la sua consacrazione, ovvero quando esce, per i tipi di Einaudi, “Il bosco degli urogalli” canto alla propria terra ed alla natura in generale, innalzato con l’apparente rudezza del vecchio soldato e con il cuore aperto di un innamorato eterno ed inguaribile. Il maestro alpino ha poi scritto tanto negli anni successivi, fra cui “Ritorno sul Don” e “Storia di Tonle” negli anni settanta, “Uomini , boschi e api” e “Amore di Confine” negli anni ottanta, “Compagno orsetto” e “Sentieri sotto la neve” nel decennio successivo.
CACCIA E LETTERATURA: LA PENNA DI ARTEMIDE
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