Iniziò così quella storica intervista, condita con abbondanti dosi di episodi di cacce avventurose ad elefanti imbizzarriti, ruggiti di leoni e soffi di leopardi nella notte. Hemingway raccontò di come riuscì a fermare un rinoceronte nero in piena carica a pochi metri davanti a lui, o di quando un grande “simba” nerocrinito penetrò nell’accampamento seminando il terrore. Toccato quindi sull’argomento a lui più caro, il grande scrittore si aprì senza riserve e consentì all’amico giornalista di raccogliere una buona quantità di appunti, preziosi per chi avesse voluto approfondirne le preferenze in fatto di armi e caccia grossa.
Gli appunti di Mac Neil Roberts ci riferiscono che la palla prediletta da Hemingway per le cacce africane era una 220 grani a punta d’argento, mentre per la selvaggina pericolosa impiegava un Westley-Richards 577 Nitro Express, nonché, soprattutto in determinate cacce un grosso Gibbs 505 dall’impressionante potenza di fuoco. Un altro giro di whisky e proprio quest’arma divenne protagonista, sul taccuino di Mac Neil, di un paio di avventure nel bush kenyano, dove Hemingway e un suo aiutante si giocarono tutto per scovare un anziano, pericolosissimo bufalo cafro infrattato e pronto a scattare come un terribile leviatano. Lo scrittore amava le sue armi, e pare che fosse di una pignoleria estrema circa la loro pulizia e le regole di prudenza da seguire: una traccia di ruggine era capace di farlo imbestialire in modo davvero sproporzionato, ed una volta arrivò persino a colpire un portatore per questa mancanza da lui considerata gravissima. Sempre per il bufalo, ma a volte per il leone, impiegava anche un 470 a due canne ma non ne era molto soddisfatto: “…Lo scatto è difettoso. Invece dello scatto dolce dello Springfield, che permette la massima accuratezza nella mira, si ha uno scatto molto duro e secco, veramente metallico. Mi pare di sparare in un incubo.”
Un’altra arma utilizzata dallo scrittore era una doppietta a pallini con un’enorme volata a trombone, ovvero con il diametro alla volata più ampio di quello alla culatta. Questo fucile aveva un aspetto surreale, piratesco, ed in
effetti era ammantato da un alone di mistero che inorgogliva molto Hemingway: era stato sequestrato ad un contrabbandiere cubano, ex cacciatore di coccodrilli e serpenti nella giungla giamaicana, e lo scrittore lo caricava a pallettoni per dar la caccia agli squali del Golfo del Messico, contro cui nutriva un odio feroce.
I tre andarono avanti per un bel po’, dimenticando per qualche ora il cambiamento epocale che fuori dalle mura della Finca Vigia si stava consumando, e che da li a poco avrebbe reso tutto il loro mondo diverso da come lo avevano sempre conosciuto.
L’incontro difatti, terminò con una promessa fatta dal Premio Nobel al giornalista: “Quando tornerò dall’Africa e porterò qui tutti i miei fucili avrò molte altre cose da raccontarti, Mac..”.
Di certo tutte da bere in un sol fiato, come ogni cosa raccontata da lui..