Bracco Italiano è chiamato il fermatore nazionale a pelo corto, per distinguerlo da altre razze d’oltralpe da lui originate con incroci più o meno riusciti che più o meno mutarono profondamente le linee dell’antico ausiliare.”
Con queste parole, l’indimenticabile Alberto Chelini incomincia un suo pregevole articolo pubblicato su Diana nel gennaio del ‘sessantasei, con cui, nello spazio limitato di tre pagine riesce a compiere una disamina completa della situazione che la nostra razza bracca all’epoca attraversava. E la completezza ha radici lontane, se Chelini decide di partire dalla morfologia del cane e dalle modificazioni che questa ha subìto in seguito alla pressione selettiva: “ Non bisogna lasciarsi ingannare dal cane di oggi: il bracco non è stato sempre così..” Egli esamina, sottoponendo ai lettori lo stesso suo dilemma, alcune vecchie fotografie di “bracchi leggeri” premiati in Expo importanti quali quelle di Milano e di Pavia e confronta le linee dei soggetti in questione con quelle dei campioni del suo periodo, ravvisandone profonde diversità e e avanzando così la tesi che le linee moderne siano state volute “..con bel gusto”, dagli allevatori fra gli anni venti e gli anni cinquanta. Chelini però vuol dimenticare che il bracco italiano ha avuto ben due linee evolutive, una pesante ed una leggera, che hanno confluito in una sola nel momento in cui si è voluto, a giusta ragione, unificare la razza da ferma nazionale a pelo raso. Tuttavia, al di là della valutazione ontogenetica, diciamo così personalizzata, il grande giornalista radiografa tutti gli altri aspetti della razza con quell’acume che lo ha sempre contraddistinto e che ne rende gli scritti un vero godimento.
Elogio del bracco italiano: l’opinione di un maestro del passato..
Condividi: