Ma le marchiane, forse incolpevoli, incongruenze della cultura tecnica dimostrata da Sgàdari sconfinano nel ridicolo quando il giornalista prosegue, caldeggiando alcune proposte da lui stesso ventilate quattro anni prima: “ Sin dal 1936-XIV ho proposto di chiamarli cani da caccia velocisti anziché inglesi….Ma non basta eliminare la parola “inglesi”…occorre anche eliminare i vocaboli inglesi “pointers” e “setters”…e sostituirli con le voci italiane di “puntatori” e “gattonatori”…che distinguono nettamente una razza dall’altra in fatto di lavoro.”
Secondo Sgàdari dunque, il pointer è spagnolo e dovrebbe essere chiamato “cane velocista puntatore”, mentre il setter, sempre spagnolo sarebbe il “cane velocista gattonatore”. E’ fin troppo chiaro come il clima autarchico e nazionalista del ventennio, se per molte cose è stato salutare ( ce ne vorrebbe un po’ anche oggi) , per altre ha giocato pessimi scherzi anche a persone di provata intelligenza quale Sgàdari in altre occasioni aveva dimostrato di essere, malgrado la sua monca ed insulsa analisi cinostorica. L’invasato cronista infatti, pur individuando correttamente nella Spagna uno dei vivai dai quali i puntatori naturali, come li definì Symonds nel suo “Treatise of Field diversions”, vennero importati in Gran Bretagna, non tiene conto che quei cani spagnoli erano lentissimi, senza avidità di cerca e con evidenti tracce di linfatismo dovuto ad eccessiva, secolare consanguineità e che solo i britannici avevano potuto e saputo creare una razza come il pointer, ovvero il suo declamato “cane velocista puntatore”. Così come non tiene conto che, come ho avuto modo di scoprire consultando antichi documenti, in Inghilterra, e là solamente, già dal ‘quattrocento degli spaniels erano addestrati a sedersi ( to set )al sentore della selvaggina, gettando le basi per quelli che qualche secolo dopo diventeranno i setter…
Pillole di storia: quei velocissimi puntatori
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