Fra un pensiero ed un altro, qualche settimana addietro abbiamo staccato dalla rastrelliera il nostro fucile preferito accarezzandone i legni come avremmo fatto con i fianchi di una bella donna. Poi lo abbiamo imbracciato, lasciando scorrere davanti ai nostri occhi un film proiettato dalla nostra fantasia.
Diciamo a noi stessi che l’ora è giunta. Che finalmente si ritorna a vivere, che i cancelli della libertà verranno ancora una volta aperti per noi.
Poi, man mano che si avvicina il fausto giorno, uno spiritello malvagio s’accosta al nostro orecchio e inizia a guastare quell’armonia di trepida attesa trepida costruita con pazienza, sussurrandoci di alzate antelucane per occupare una posizione vantaggiosa, di fucilerie disordinate e pericolose, di litigi furibondi, di rischi per l’incolumità propria e del proprio cane.
Così facendo ci turba, ci punge, ci inquina il bicchiere di vino buono che volevamo finalmente gustare in santa pace. Vogliamo scacciarlo con fastidio, ma lui è come quei tafani che si posano sul cavallo e che dalla groppa si spostano sul collo e da questo sul fianco, in una fastidiosissima girandola persecutoria. Non possiamo fare a meno di pensare a ciò che il perfido spirito ci paventa sibilando come una serpe velenosa, perché in effetti, a guardar bene qualche ragione ce l’ha. Poi pensiamo che è solo un moscone cattivo, che a noi non può succedere niente, che son cose che accadono solo a qualche ineducato marrano di città. Lo pensiamo, ma non ci crediamo.
A chiunque di noi può accadere quel che capita agli altri. In un giorno importante e delicato come l’Apertura, tutti siamo chiamati a dare il meglio di noi stessi, come uomini ben prima che come cacciatori. Il campo è specchio della vita, il bosco è crogiolo del torrente impetuoso dell’esistenza. Non dobbiamo dimenticarlo lasciando a casa l’arma più importante che è la dignità personale, perché finiremmo per non potercelo perdonare mai, dovessimo campare cent’anni.
Diamo il buon esempio, allora. Non imprechiamo volgarmente per ogni sciocchezza che ci capita, che sia una padella o una pestata di qualche escremento. Non faremmo altro che qualificarci immediatamente, anche agli occhi di chi ci conosce già.
Stiamo attenti a non disturbare, per esempio evitando di addossarci su un gruppo di altri cacciatori solo perché magari il campetto di mais o di girasoli ci sembra promettente. Rischieremmo di non divertirci e perfino di litigare: non è vero che il terreno è libero comunque, ma lo è solo se qualcuno non sta già occupando lo stesso sito. Fra gentiluomini veri è così che si usa. Non mitragliamo come vietcong per ogni penna che si alza dall’erba o dai cespugli. Siamo cacciatori, dunque riserviamo sacralità e decenza ad un atto troppo spesso svilito da inutili e pericolose sparatorie. L’arma è una cosa bella esteticamente ma terribile moralmente, perché per utilizzarla è necessario un forte senso di responsabilità. Serve ad uccidere un animale nell’ ineludibile prospettiva del cerchio della vita che ci assicura che è giusto fare così, mentre non è scritto da nessuna parte che serve a far vedere agli altri quanto siamo bravi. E quando parliamo con chi ci accompagna, facciamo attenzione a non gesticolare utilizzando il fucile come una bacchetta da metereologo e a non puntare mai le canne verso le persone o verso i cani. Un quarto degli incidenti accade a freddo, ovvero quando si parla di tutto meno che di caccia: basta poco al dito sudato e distratto per scivolare verso il grilletto, oppure alla mano affaticata e presuntuosa di lasciarsi sfuggire la doppietta facendola cadere e provocando l’esplosione. Non credete mai, e per nessun motivo, all’espertone che vi dice che la percussione non può mai avvenire per questa o quest’altra ragione meccanica, e proponetegli di mettersi davanti al fucile mentre voi lo battete in terra: la loro reazione sarà più esaustiva di mille parole.
Rispettiamo la distanza dalle case. Purtroppo è vero che in tante e tante contingenze territoriali i cacciatori sono costretti a compiere slalom fra ogni genere di ostacoli fabbricativi, però sforziamoci sinceramente, soprattutto quando siamo in prossimità di abitazioni e delle loro pertinenze, e per nessuna ragione azzardiamoci a tirare verso siepi di cinta o filari di piante intorno ad una casa, nemmeno se invece di un fagiano il nostro cane avesse scovato l’Araba Fenice. Chi ci dice che dietro il rosmarino non ci sia il nonno, andato a far pipì d’urgenza perché il bagno di casa è occupato?
Dimostriamo la nostra nobiltà soprattutto con il cane. E’ facile essere nobili con i nobili. Più difficile è riuscire ad esserlo con chi potremmo prendere a pedate impunemente, e che ci lecca la mano per ringraziarci. Il cane per noi è l’amico migliore, più di quanto possiamo esserlo noi stessi. In un passato per fortuna ormai lontano, si è assistito a scene ributtanti di animali maltrattati per un mancato riporto o per uno sfrullo, perchè il giorno dell’apertura si è sotto gli occhi di tutti, ci si tiene d’occhio gli uni con gli altri e vorremmo che il nostro cane suscitasse invidia, e non invece compatimento. Grazie a Dio quella gentaccia s’è estinta da sola. Però, per parte mia, ho deciso che se dovessi mai trovarmi davanti una simile situazione, mi avvicinerò con cortesia al malfattore e gli chiederò quanto vuole per il suo cane. Sono certo che nella maggior parte delle ipotesi il figuro sarà talmente irritato che quasi me lo regalerà, ed io guadagnerò due volte: la prima volta moralmente, per aver sottratto a mani indegne un essere incolpevole e la seconda materialmente, perché si può star sicuri che quello stesso cane, trattato con amore, diventerà un ottimo ausiliare da portare a caccia.
Non berciamo come scimmie. E’ una cosa disgustosa ed è quanto di più lontano ci può essere dall’idea di cacciatori veri, anche se l’apertura è un giorno particolare e di certo non è il momento adatto per ricercare silenzi e spiritualità recondite. Teniamo sempre a mente che lo siamo però, e che abbiamo dei doveri, per così dire, di magistero verso chi invece non è investito dalla stessa vocazione.
Se dovessimo essere fermati per un controllo, scarichiamo con calma il fucile e rivolgiamoci a chi ci sta davanti con la massima cortesia, in qualunque condizione ci si trovi, colpevoli o innocenti. Non ho mai visto né sentito di colpevoli lasciati andare perché avevano alzato la voce o le mani, mentre m’è accaduto personalmente di trovare piena comprensione solo ed esclusivamente perché mi ero comportato con buona creanza e tranquillità.
Ricordiamo sempre che la selvaggina appartiene a colui che l’ha scovata ed a nessun altro. Chi spara al fagiano scovato da un altro deve restituirlo senza fiatare. Una lepre poi, non si dovrebbe nemmeno guardare se è inseguita da cani che non sono i nostri. Pretendiamo quindi la selvaggina se ci appartiene, ma nel caso non dovessimo trovare un atteggiamento educato lasciamola pure all’indegno collega, accompagnandola da un paio di cartucce e da un biglietto da dieci euro: ricorderà per sempre all’arraffone qual’é il suo valore a caccia, ed a noi cosa vuol dire essere galantuomini.
Che il lupo ci porti in bocca!
Mario Sapia