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L’ISOLA CHE NON C’E’ : APERTURA D’UNA VOLTA ALLE STARNE

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1 Settembre 2015 di Mario Sapia
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S22Quando con l’aumentato benessere, crebbe anche la pressione venatoria, la prima reazione fu quella ricorrere a ripopolamenti con individui allevati. Quindi si restrinsero giocoforza la aree a disposizione della caccia per creare delle zone di rispetto venatorio, infine si iniziò ad immettere in maniera sconsiderata i fagiani, corposi e meno problematici della starna in termini di adattabilità. A questo, come evidenziato da Steffenino negli anni sessanta, si aggiunse la totale mancanza di un’organizzazione venatoria secondo criteri biologici, provocando fatalmente l’inevitabile segnale di cedimento dell’intera baracca. Ed a cedere cominciarono proprio le starne, incapaci di reggere l’assalto di tanti elementi nello stesso tempo, e mostrando il limite che la specie portava inscritto nella sua programmazione genica. Le starne non si adattavano a tutto, come il cugino fagiano di cui peraltro non tolleravano la concorrenza interspecifica, ma ad esempio continuavano a preferire gli appezzamenti variati ed onusti di cibo quando invece cominciavano a farsi largo le monocolture, così come seguitavano a mostrare il medesimo tasso di maturazione psicofisica malgrado la loro caccia fosse divenuta ormai, con il dopoguerra e lo sviluppo, alla portata di tutti e non solo dei pochi cultori e dei pochissimi uomini di campagna che prima vi si dedicavano. Le aperture estatine dunque sono state il vero primo disastro della starna. I branchi venivano decimati senza pietà, fino all’esaurimento del contingente, incarnierando persino i giovani starnotti che avrebbero potuto e dovuto rappresentare la “riserva di capitale”. Era chiaro che non si poteva pretendere di riconoscere al frullo l’età dei soggetti. Ma proprio per questo sarebbe stato necessario posporre l’apertura alla S19starna al mese di ottobre, quando, come correttamente rammenta Steffenino, gli uccelli sono in grado di opporre resistenza sia fisica che strategica. Le continue mattanze, la gestione sbagliata, l’ovvio scarso successo dei ripopolamenti che avevano mille limiti, primi fra tutti lo status genetico stesso della starna, volatile poco rustico, scarsamente adattabile e condizioni di disturbo ed inquinamento agricolo e colturale, portarono alla caduta della “dea”. Ovvero alla rarefazione ed alla scomparsa del galliforme allo stato selvatico. Lo strapotere territoriale del fagiano, dovuto invece alla sua capacità Starna 1di far fronte alle più svariate situazioni, ha a sua volta influito pesantemente. Le due specie non si tollerano, e fra gli animali vige la legge del più forte. Fu un circolo vizioso, protratto fino ai nostri giorni: le starne stanno scomparendo? Mettiamo i fagiani che si adattano meglio: almeno si sparacchia un po’…Il nostro ambiente si sta trasformando per metà in bosco e per l’altra metà in discarica? Il fagiano costa uguale ma almeno resiste un po’ di più.
L’apertura generale è una colossale stupidaggine? La data di chiusura della caccia una sciocchezza ancor più offensiva? Eh ma che ci volete fare…..v’immaginate cosa direbbero i verdi, i rossi, i neri o quelli a pallini rosa se facessimo come fanno ad esempio in Germania, dove le aperture e le chiusure sono per specie e la caccia non chiude e non apre mai…?
Sappiamo cosa direbbero. Ma sappiamo anche ciò che potremmo rispondere noi, se non utilizzassimo le “palle” solamente per sparare ai cinghiali.

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