Assentii e ripresi a concentrarmi sulla guida. In dieci minuti arrivammo a destinazione, parcheggiando l’auto in uno slargo sotto alcune querce. Da una parte della strada, il bosco discendeva verso valle mentre dall’altro lato si apriva una soluzione di continuità costituita da piccoli altopiani erbosi, preludio ai coltivi a cui l’amico aveva accennato. Decidemmo di dare la precedenza a questi: se c’era qualcosa, a quell’ora del mattino, di certo stava terminando di girovagare proprio fra i campi e le vigne. Sciogliemmo i cani, tre pointers di livello, di cui due appartenenti a me. Erano Atreo, sua nipote Eva e Sole , il maschio di punta del canile dell’amico. Avevamo portato il meglio. Alla sciolta, sembrò quasi che i tre cani si fossero messi d’accordo: i miei due si aprirono verso i lati del campo mentre Sole esplorava più in profondità. Lo spettacolo era da quadro impressionista. O forse, considerando la presenza dei cani inglesi, da tela di Munnings. Le valli senesi , di un commovente verde smeraldo, facevano da sfondo alle macchie di colore rappresentate da boschetti sparsi qua e là, di quel colore misto dorato e rosato carico che solo in autunno è possibile ammirare, e che, come tutto ciò che è meraviglioso, dura lo spazio di pochi giorni. Atreo determinava la direzione di marcia, da gran conoscitore dell’aria e del vento qual’era, mentre la giovane Eva, appena due anni, faceva valere la sua freschezza producendosi in lacet a velocità da grande cerca. Sole infine era un cane tarchiato, positivo e grandemente espressivo, con un “colpo di sciabola” da brivido ed una grande duttilità d’impiego. Il campo stava per terminare, e sullo sfondo un altro boschetto ed alcune vigne pareva ci invitassero a visitarli tanto erano promettenti e tranquilli. Nessuno aveva seguito questa rotta, quella mattina; il campo era libero e questo non capitava tutti i giorni. Al limite dell’erbaio, Sole ci fece rizzare i capelli sotto i berretti: flesso in ferma, naso al vento ed occhio fisso verso un punto indefinito. Ad almeno trenta metri di distanza, Atreo consentì. Incespicando per la fretta di arrivare sul cane, con il fiato mozzo per l’ansia riuscimmo comunque a coordinarci disponendoci in modo da non frapporci fra il presunto selvatico ed il cane in consenso. Sole accennò un passo e una fagiana frullò come un missile verso il bosco. Era chiaro che qualsiasi selvaggina con le penne sarebbe andata in quella direzione. Il primo tiro spettava a Giorgio poiché l’animale l’aveva trovato il suo cane: bello swing, splendida centrata e caduta a piombo in un ginestraio, seguita dall’accorrimento al riporto di Sole. Ci profondemmo in complimenti verso il cane, mentre questi la consegnava all’amico, felice come un bambino per il magnifico lavoro svolto dal suo campione.
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