L’indomani, tornai con Hektor nella stessa zona della lepre, ma non lo lasciai andare come avevo fatto il giorno precedente. Inutile dire che dovetti fare ricorso a tutta la mia esperienza e volontà per impedire che quell’impetuoso giovane leone avesse la meglio sul mio braccio. Il bosco che avevo scelto era molto grande. Essendo la fine di marzo ero piuttosto fiducioso di incontrare qualche beccaccia. In quel bosco poi, che si trovava non lontano dalla Foresta dei Teutoni, non avevo mai avuto delusioni circa la selvaggina.
Sciolsi Hektor non appena entrammo, e ne osservai i movimenti e la mentalità. Il cane andava avanti ed indietro con molta foga, come d’altronde era giusto che facesse un giovanissimo maschio forte come un cavallo e sano come una ranocchia. Però mi resi conto, dal modo come procedeva, che probabilmente la beccaccia mancava dalla sua scorta di conoscenze. Naturalmente non era un problema né un difetto, soprattutto se volevo instradarlo verso le prove. Un cane come lui non avrebbe avuto nessuna difficoltà ad impadronirsi dell’odore della beccaccia. Lo richiamai, e lui con un po’ di malavoglia ritornò a me. Lo legai al guinzaglio, e facemmo qualche centinaio di metri ancora, addentrandoci nel bosco. Lentamente, gli feci annusare molti cespugli e molte basi di alberi, per indurlo a prestare a queste cose maggiore attenzione. Dopo una mezz’ora di cammino, battendo una piccola formazione di betulle, vidi vicino una radice l’inconfondibile fatta della regina del bosco. Era un colpo di fortuna ai fini di ciò che mi proponevo: mi avvicinai con Hektor sempre al guinzaglio, e gliela mostrai aiutandomi con l’intera mano per attirare maggiormente la sua attenzione. Il giovane cane ne rimase come folgorato. A quel punto lo sciolsi, e lui si lanciò ad assaggiarla e ad annusarla. Poi gli diedi il comando che avevo usato per incitarlo alla cerca, anche se non ne aveva alcun bisogno. Il bosco era ampio e pulito, ed io potevo seguire i movimenti del cane con poche difficoltà. Notai che ora Hektor prestava maggior attenzione alle basi degli alberi, ed ai bassi cespugli erbosi. Cercò così per almeno un’ora, fino a quando non lo vidi compiere un breve arresto, poi un affondo a destra ed un altro, più corto, a sinistra. Quindi si fermò, sollevando una zampa. Lo raggiunsi e mi misi al suo fianco: i suoi occhi erano molto accesi, ma avevano al tempo stesso un’espressione di grande incertezza. Lo accarezzai ed un attimo dopo la beccaccia partì davanti a noi. Non feci in tempo a sparare, ma riuscii, in compenso a trattenere Hektor con un secco “Halt !”.
La prova aveva avuto successo, e capii che con quel cane sarei potuto arrivare ovunque accorgendomi, un istante dopo, di aver pensato ed usato proprio la parola “Halt” e non come fino ad allora il comando “Down”, adottato per i cani Inglesi.
Fu un campanello d’allarme . Da quel momento la mia intera esistenza venne dedicata al bracco tedesco”.
L’ “abitudine” che costituisce un vestito di ferro dunque, non va confusa con l’abitudinarietà pedissequa e poltrona. Si tratta bensì di serietà , costanza e volontà senza pari. Ovvero quelle qualità, quei capisaldi, che hanno fatto della cultura cinovenatoria tedesca, un faro ed un punto di riferimento ineguagliato per il resto d’Europa e per il mondo intero.
« Pag 3