Voglio raccontarvi com’è andata, iniziando col dire che le sole esperienze della cagnina prima di imbattersi nel piccolo demonio dal becco lungo, erano costituite da quaglie e fagiani su quali, partita in ritardo, aveva da poco iniziato ad acquisire un’interessante padronanza della situazione. Ma il beccaccino, com’è noto, ha sempre rappresentato una faccenda a parte.
Partimmo di mattina presto: Antea, come dovrebbe fare ogni pointer, battè i campi bagnati con ampie falcate, disegnando una buona copertura della superficie pur senza produrre eccessivi geometrismi, giacché il mio dressaggio era stato limitato al portarla a caccia cercando solo di farle conoscere la selvaggina e le situazioni, affidando il resto al buon sangue ed all’istinto.
Mi divertivo ad osservare come ben funzionava la corretta composizione delle leve del suo giovane corpo, vincendo su quell’impasto tentacolare rappresentato dalla melma e dalle zolle, su cui invece io avanzavo con mille difficoltà. Ne ammiravo la schiena che trasmetteva l’energia flettendosi in modo veloce ma potente ed imprimendo un’andatura al galoppo che, pur non avendo nulla di esasperato, risultava fluida e produttiva. Mi beavo a guardare il suo lungo collo da cigno mentre, seguendo il naso alla ricerca di un indizio aereo, oscillava impercettibilmente durante l’esplorazione, inserito com’era in un garrese ampio che consentiva agli arti anteriori di distendersi bene sopra le gravi irregolarità di quel campaccio allagato. Insomma facevo tutto fuorché cacciare.
Caccia vissuta: la Fanciulla e il Folletto
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