Alcuni giorni fa il Tg5 ha dato, col clamore che gli è proprio, una notizia che tocca da vicino tutti noi cacciatori. A Ravenna, un eccesso di daini sta creando seri problemi all’ambiente e alle colture e dunque le autorità, Comune e Provincia, hanno disposto un programma di abbattimento selettivo per riportarne il numero ad un livello accettabile. Apriti cielo: “animalisti” scatenati, proteste, petizioni e addirittura la proposta da parte di una imprenditrice tedesca , ma sarebbe meglio definirla ereditiera, di acquistare gli animali e deportarli nella sua tenuta, seguita dal ricatto, in caso di rifiuto, di sconsigliare i suoi compatrioti a venire in vacanza in riva all’Adriatico. Fin qui, direte voi, tutto vecchio: dove sta la novità? In effetti novità non ce ne sono, considerando il normale grado di protervia dei sedicenti amici degli animali e dei loro sodali, come li avrebbe definiti un giudice una ventina d’anni fa. La cosa che indigna è il tono con cui il giornalista, il cui nome non ricordo, nel descrivere i termini dell’intera vicenda, non ha esitato a definire i daini “i figli di Bambi”, della compagnia dei quali “nessun bambino avrebbe mai goduto”, e i cacciatori di selezione, persone per bene e regolarmente autorizzate a compiere un servizio di primario interesse per la natura, come invece “gente in possesso di licenza di uccidere”. Sorvoliamo sul fatto che in ogni caso la caccia ( come la pesca e l’allevamento) comporta per forza “uccisione”, altrimenti non avrebbe senso, il neanche troppo velato tentativo del collega cronista di accostare la figura dei cacciatori a quella di killer senza cuore appare una volta di più come il frutto marcio di una cultura comoda e salottiera, dove è reale solo ciò che ci si racconta durante l’aperitivo o si vede nei film. Compresi i cartoni animati…