Egregio Direttore,
sono un anziano cacciatore che ha da poco ottenuto la sua sessantatreesima licenza e ha sempre cacciato con i cani da seguita. Seguo i Suoi articoli da quando scriveva per Diana e devo dirLe che sono Sue alcune pagine destinate a rimanere nella storia del giornalismo venatorio. I suoi scritti mi rimandano a Bocchiola, Bardelli e Araldi, anche se questi grandi non hanno mai parlato di segugi come Lei. Mi ha sempre entusiasmato il modo straordinario con cui Lei riesce a raccontare anche le cose normali e ho sempre apprezzato la Sua grande competenza cinofila. Ho anche apprezzato moltissimo il Suo bel libro “L’ombra nera del lupo”, che è scritto in modo tale da leggersi in un fiato tanto che è avvincente.
Le scrivo perché da poco tempo ho deciso, spinto da mio genero anche lui Suo estimatore, di provare ad accostarmi al computer nonostante i miei venerandi ottantun’anni e ho scoperto la Sua bellissima rivista essendo felice di ritrovarLa questa volta anche come Direttore responsabile. Complimenti ancora perché il giornale è davvero bello e pieno di informazioni preziose per i cacciatori. Detto ciò avrei una domanda da porLe, essendo io un vecchio maestro elementare ed avendo trascorso con i bambini la maggior parte della mia vita. Ho sempre pensato che l’amore per la caccia potesse essere insegnato a scuola, o almeno inculcato, ed ho sempre creduto che l’attività venatoria significhi soprattutto conoscenza e rispetto per la grande Madre che è la Natura. I miei nipoti, tre maschi che frequentano la quarta e la quinta elementare mi raccontano di come invece a scuola i maestri spesso dipingano la caccia come una crudeltà e un’attività di cui vergognarsi, imponendo così alle giovani menti dei bambini delle idee ingiuste e sbagliate. Forse, se si partisse proprio da là per invertire la rotta, per ristabilire la verità e per far apprezzare questa grande passione ai nostri piccoli avremmo almeno la speranza di un futuro in cui l’attività venatoria e i cani da caccia godano ancora di diritto di cittadinanza. Se gli organi di stampa s’impegnassero perché le cose a noi care siano tenute in considerazione anche a livello di programmi ministeriali, sono sicuro che i bambini di oggi avrebbero buone possibilità di diventare i cacciatori di domani. Cosa ne pensa? Come ci si potrebbe muovere, ammesso che si possa farlo? La lascio con questi interrogativi scusandomi per il tempo che Le ho rubato, e l’autorizzo a compatirmi per le mie idee di vecchio matto visionario e ormai senza futuro.
Con sempre maggior stima,
Attilio Pierantoni, Roma
Caro amico,
innanzitutto grazie di cuore per la stima e per gli azzardati accostamenti da lei fatti, avvicinando il mio nome a quelli, ben più grandi di Annibale Bocchiola, Gin Bardelli o Mario Araldi. Non merito tanto, anche se non nascondo il piacere di aver suscitato interesse con i miei scritti.
Mi lasci dire che i temi da lei postimi non sono affatto visionari, ma, al contrario, risulterebbero di cardinale importanza per assicurare un futuro alla caccia, ed al mondo che vi sta intorno. La scuola di base, argomento di cui mi sono già occupato in uno dei miei editoriali su Caccia Oggi, è il viatico essenziale, il cardine sopra cui ruotano tutte le possibili battaglie, nonché il primo gradino che dobbiamo salire se vogliamo che le cose cambino per davvero. In altri Paesi d’Europa, di questa Europa sbandierata ad ogni piè sospinto, la caccia e le vere dinamiche della natura s’insegnano proprio fra i banchi della prima scuola, spesso, come in Germania o in Austria, proprio con il concorso delle società di caccia. I bambini imparano che il cacciatore è una persona con dei valori, che s’inserisce nel ciclo della Natura al pari di altri predatori e si vanno così formando un’immagine dell’attività venatoria che anche se non sempre entusiastica, è quantomeno neutrale e benevola.
Che possiamo fare? Non è facile: le forze sono poche, e gli avversari godono di innumerevoli vantaggi offerti dai media e di conseguenza da una pressione sociale difficilmente superabile. Possiamo certamente non mollare, ribattendo colpo su colpo, non abbassando mai la testa e non lasciandoci ferire da attacchi strumentali. Possiamo non farci collocare sempre sul banco degli accusati, e invece, quando occorre essere noi gli inquisitori. Possiamo professare il nostro sentire ed essere cacciatori a testa alta e con voce forte. Ecco, caro maestro, possiamo intanto fare tutto questo, e, mi creda, non è poco.
Facciamolo, ed il resto verrà da sé.