Il mare dorato si distende fin dove l’occhio arriva. Sono cullato dalle onde che abbracciano la barca e sento l’aria calda di sale sul viso, mentre gridano alti due uccelli dalle lunghe ali, diretti verso l’ignoto. Li guardo, poi mi volto e vedo lontane le luci della città, gialle come fiammelle a disegnare i contorni della terraferma. L’odore del pesce mi rigira nel naso; sento i muscoli doloranti e le dita ferite che dolgono ad ogni colpo di remo. Ho sete, ho fame, e già i primi brividi di freddo mi accarezzano mentre il sole va scomparendo. Stringo il legno viscido fra le mani, lo tengo forte, più forte ogni metro, finché mi sfugge e uno spruzzìo d’acqua mi scuote col fragore di cristalli infranti. Respiro forte, guardo a terra e vedo i resti della mia gassosa al limone ancora sfrigolanti fra i pezzi di vetro del bicchiere. Sono ritornato. Ho veleggiato in un’altra dimensione e adesso sono di nuovo qui, nella mia stanza, fra le mie cose.
Avevo quindici anni, e le pagine che ebbero il potere di farmi viaggiare così erano de “Il vecchio e il mare”. Old Papa Hemingway riuscì, in quel pomeriggio d’estate, a farmi resistere alle citofonate degli amici per giocare a pallone, al desiderio di scendere in spiaggia, e perfino all’invito della fidanzatina ad andare a casa sua. “Arrivo fra un paio d’ore..”, le risposi al telefono. Fu una sensazione di compenetrazione intensa, un transfert profondo che lasciò in me il desiderio di riprovarlo ancora, di esplorare e cacciare in mondi nuovi, di conoscere genti e città.
Il potere di un libro è inimmaginabile, e tali sono anche gli effetti da cui la mente e lo spirito possono trarre beneficio.
Avevo scoperto la macchina del tempo, e in quel momento decisi che non ne sarei sceso mai più.
La macchina del Tempo
Il nido del falcoCondividi: