Tempus fugit, dichiaravano con consapevole rassegnazione gli antichi romani. Mai affermazione è risultata più vera di questa, e mai l’uomo è stato più impotente verso qualcosa. Il tempo fugge, la natura cambia vestito e le stagioni si inseguono in un gioco perpetuo di cui noi uomini siamo spettatori, a volte attivi, a volte passivi.
L’attuale legge, quella che nel ‘novecentonovantadue ha segnato una tappa nuova nel modo di andare a caccia, ha ampiamente fatto il suo tempo. Molte delle condizioni che all’epoca giustificavano certi provvedimenti legislativi adesso non sussistono più. La pressione venatoria si è ridotta, e di molto. Solo poche giovani leve hanno rimpiazzato i numerosi, e valorosi, veterani che non cacciano più, decidendo di seguire questa spinosa via di dolore.
Per contro però, è aumentata la consapevolezza che solo armonizzando le legislazioni con quelle della Natura si potrà ritornare a parlare di una caccia vera, arricchente lo spirito e il pensiero. E’ vero, il gene della passione per la caccia, del rapporto intimo con la natura, quello cioè che ha permesso all’uomo di diventare tale, sta sparendo perché annacquato da torbidi “linkage” con mutazioni cromosomiche di facilismo, di pietismo mai previsto dalla natura, di “tutt’adessismo” di “dirittismo” pseudo progressista sempre affratellato col precocismo, mortifero anabolizzante per infanzie stravolte dalla televisione e da internet.
La politica però è stato il principale viatico di rovina, il bradisisma, il duemiladodici mayano. Contro la caccia, posizioni sostenute sulla base di ideologie o di tornaconti elettorali; circa la caccia nessuna umiltà di ascoltare le indicazioni di organismi tecnici; alla caccia poco o nessun peso sociale e culturale è riconosciuto da quei signori che stanno seduti in Parlamento. Si, d’accordo, c’è l’eccezione, c’è la mosca bianca, c’è il singolo crociato, ma ben misera forza oppongono costoro quando in ballo c’è il “politically correct”, quando il difendere certe istanze li può mettere in cattiva luce in un mondo sempre più a “diffusione rapida”, come il veleno e gli insetticidi.
Tuttavia anche se il brodo è questo, noi non rinunceremo alla nostra dimensione. Abbiamo il diritto ad una nuova legge e vorremmo che sia migliore di quella vigente. Vorremmo che sia la Natura ad ispirare le nuove regole per la caccia italiana, non le logiche mangiasoldi di enti inutili ed esosi, non le irragionevoli restrizioni temporali ed orarie, non i calendari che consegnano al nostro Paese la palma del ridicolo, facendoci iniziare a cacciare quando gli animali non ci sono più, e facendoci smettere in pieno inverno.
Formuliamo noi cacciatori, tutti uniti, una proposta di legge. Proviamoci almeno: se, per avventura, dovesse venire accolta ed approvata potremo dire in piena coscienza di aver davvero tentato tutto, ed essere noi stessi gli artefici del nostro destino venante.
Presto però. Tempus fugit…