L’attuale legge sulla caccia, molto probabilmente sarà fra poco sostituita da un’altra. Che caratteristiche dovrebbe avere, secondo il suo giudizio, per essere una normativa efficace?
E’ una domanda che richiede qualche premessa, per chi ha perso la memoria e per chi è arrivato dopo. Spero voglia concedermela.
Negli ultimi sessant’anni la normativa venatoria è stata modificata per ben cinque volte. La sesta, quell’attuale, non è stata capace di risolvere tutti i problemi che si portava appresso la precedente. Essa, per chi è addentrato nell’argomento, sa benissimo che si sarebbe dovuta muovere attorno a tre nuovi e fondamentali principi. Primo, la competenza delle Regioni a legiferare in materia di caccia, tranne che su quelle la cui potestà è rimasta allo Stato, quale la tutela dei beni ambientali e culturali. Secondo, il legame del cacciatore al territorio con la nota istituzione degli Ambiti Territoriali di Caccia. Terzo, la cogestione del territorio tra agricoltori, cacciatori e ambientalisti e ciò al fine di fare superare l’antica conflittualità fra le parti.
L’applicazione di tali principi, ancora oggi, non è vanto di tutte le Regioni, anzi taluni sono stati del tutto ignorati. In Calabria, per esempio, insiste una vera e propria repubblica venatoria, con l’aggravante dell’omertà venatoria, a tutti i livelli.
Ben venga, allora, questa settima e nuova legge. Al più presto, perché siamo al giro di boa: rinnovarsi o perire. Voglio però augurarmi che non sia dettata massimamente dalla parte avversa o da quei soloni che vorrebbero tenerla in vita ricorrendo alla dettatura di proclami o “cartelli”, con limitazioni cervellotiche non suffragate da riscontri oggettivi e scientifici.
Essa, secondo il mio giudizio, per essere efficace dovrebbe partire dagli errori e dai fallimenti della precedente, sforbiciandola e modificandola in più parti, per “portare la caccia fuori dalla caccia”. Per proiettarla nella società civile e nelle scuole di ogni ordine e grado, di concerto col Ministero della Pubblica Istruzione. Urge uscire dal dilemma “caccia sì caccia no” per giungere, finalmente, a quello della “caccia come”. Già questa filosofia di base la renderebbe credibile e accettabile alla parte migliore del mondo venatorio e, forse, gli darebbe l’opportunità di riconquistare quell’appeal che un tempo aveva con l’opinione pubblica. E dovrebbe contenere, sotto forma di obbligazioni, più pragmatiche iniziative a favore dell’ambiente e delle tradizioni rurali e venatorie.
Mi conceda, anche, una digressione rivolta ai genitori. Portate i vostri figli o in campagna o nei boschi, a sporcarsi scarpe e mani di terra, a rincorrere farfalle e lucertole, a scoprire piante, fiori e colori, a raccogliere funghi e asparagi, ad ascoltare il canto degli uccelli, la voce del vento e il fruscio delle foglie e tanto altro. Sono molti i bambini che conoscono solo due varianti del verde: quello sporco della città e quello dell’insalata. Ove possibile, fate vedere il lento e sinuoso incedere dei girini nei torrenti o nelle anse di qualche fiume risparmiati dall’improvvido inquinamento. Fate loro osservare e contemplare lo spettacolo di qualche alba e tramonto quando la luce del giorno stenta ad avere ragione su quella della notte, e viceversa. E, perché no: fate loro osservare anche il lombrico che nuota nella merda della vacca. Sono le cose vedute e toccate che destano indelebili impressioni e, che trasformandosi in sentimenti, plasmano il loro animo. Datemi retta: nel e col grande “libro della natura”, cresceranno diversi, sani e forti dentro.
E, probabilmente, qualcuno di loro diventerà cacciatore perché si renderà conto che a vivere intensamente la natura è proprio l’uomo cacciatore.