Quali ambienti e quali cacce predilige, e soprattutto quali razze di cani ha amato, e ama di più…
La pianura di S. Eufemia Lamezia, ove io sono nato e abito, confinante con l’omonimo Golfo, fino agli anni ottanta ha offerto un habitat variegato. Non c’era selvatico che non si fermasse a sostare. E ripeto ho cacciato di tutto, da appostamento temporaneo o in forma vagante. Ricordo con nostalgia le tante stampate ai pivieri e alle pavoncelle. Alle marzaiole, in particolare. E nelle zone montane, i colombacci ai quali dedicavo tutto il mese settembre. Nella caccia vagante i miei prediletti erano il beccaccino, il frullino e, a primavera, il croccolone: maestro dei miei cani. Ho cacciato dapprima con una meticcia, una bracca pointer. Poi con bracchi italiani, all’epoca un pò pesanti ma grandi cacciatori. Ho pure utilizzato una drahthaar e due grifoni kolthals, due razze altrettanto valide per gli ambienti che frequentavo.
Un bel giorno di tanti anni fa, vidi cercare e fermare più di un beccaccino da due magnifici e superbi spinoni, condotti da due cacciatori. Uscii dall’appostamento e andai loro incontro. Li salutai, presentandomi. Erano due fratelli, Peppino e Mario Costanzo, che si dichiararono spinonisti o braccofili e cercatori di beccaccini e beccacce e niente di altro. Di quelle beccacce che io dipartivo alla posta mattutina e serale, essendo a quel tempo consentita.
Fu l’incontro che segno e tracciò il mio futuro di cacciatore cinofilo. Infatti, si fece amicizia tanto che una sera, Peppino, mi chiamò al telefono di casa invitandomi per una cacciata in Sila, giacchè qualche beccaccia era già arrivata. Accettai di buon grado. Fu un’esperienza memorabile. Assaporai l’adrenalina dell’incontro con una preda ancora più vera e completa perché, ad ogni pla-pla-pla, mi fece fremere e vibrare i polsi e il cuore pulsare alle tempie. A sera rientrai a casa, felice e contento. A letto, prima di addormentarmi, pensai: quella di oggi sarà anche la mia caccia con tutte le sue regole. Basta con le stampate, basta con le mattinate ad aspettare gli schizzi dei tordi e, soprattutto, basta con l’abbattimento di beccacce all’aspetto. Mi resi conto che una beccaccia, abbattuta a ferma di cane, vale più di venti altri pennuti. Mi dispiacque abbandonare la pianura per la montagna solo per i beccaccini. E fu così che incominciai ad organizzarmi per questo tipo di caccia, verso la quale mi sono felicemente convertito recependo le regole e i modi dei fratelli Costanzo. Finii con l’ammalarmi di naturalità e di beccaccite. Due malattie che descrivo nel mio terzo lavoro asserendo, fra l’altro, che da queste non si guarisce mai.
Amo di più i bracchi e gli spinoni, per il motivo essenziale che i sottoboschi che frequento sono stretti e a volte impenetrabili. E perché, a beccacce, a mio avviso un cane non deve allungare più di cento metri che sono già tanti. Ma il fatto essenziale che mi ha fatto restare su queste razze è che con queste ho affinità caratteriale. Fino al punto che il legame diviene relazione, amore: condizione sine qua non per quella indispensabile interdipendenza fra cacciatore e cane. Quando questa è assente capita di vedere grandi cani, di qualsiasi razza, che in mano a cacciatori broccoli, sono diventati anch’essi broccoli. Ad onor del vero non ho mai visto un buon cacciatore con un cattivo cane, ma ho sempre visto cacciatori medi o da strapazzo con cani pessimi. A riguardo, mi è lieto ricordare quanto ebbe a chiarire il grande e indimenticabile Paolo Ciceri: “ E’ un errore ritenere una razza superiore alle altre, specie in rapporto alla velocità che non deve essere fine a se stessa bensì redditizia. Non esiste una razza in assoluto: c’è la razza del cuore che rispecchia esigenze, gusti diversi e il modo di andare a caccia secondo il proprio standard di lavoro”. Al diavolo, dunque quelle querelle, lusinghe e fanfaluche che si leggono o si sentono dire. E’ questa materia di forma e di sostanza sulla quale non si scherza, sulla quale non bisogna dire coglionate, sulla quale non bisogna fare i partigiani, nel senso dello spirito di parte, né i razzisti, nel senso di far primeggiare questa o quella razza.
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