Se al mattino presto si può scegliere una zona, sganciare i cani sottovento, seguirli attendendo la ferma o il frullo, quindi sparando in campo aperto, nel pomeriggio, alla “controra” , il discorso cambia. E molto, anche. Innanzitutto, a quell’ora dannata e stracotta dal caldo i cani sono l’ombra di se stessi. Ed anche quando si ha la possibilità di sostituirli con altri freschi di box, nessun essere vivente a sangue caldo può, sotto la canicola, offrire le stesse prestazioni e per la stessa durata che fornirebbe in condizioni normali. Quindi non pretendiamo lacets da Coppa Europa, e non stiamo lì ad analizzare la direzione del vento: a quell’ora, vento utile di solito non ce n’è. E dei lacets non sapremo cosa farcene, ammesso che i cani abbiano voglia di farli. A quell’ora c’è lui, il fagiano, nascosto da qualche parte all’ombra di un metro cubo di rovi, quasi nell’acqua, o comunque molto vicino ad essa, e ci siamo noi, con il pranzo sullo stomaco, con i cani la cui lingua si allunga ogni mezz’ora di qualche centimetro, con l’aria ferma, caldissima e implacabile. Ed allora cosa fare? Innanzitutto diminuire l’andatura. Poi scegliersi, ad esempio, un fossone, un invaso sporchissimo, o una bella serie di siepi di fondo campo, quelle che magari danno poi su una strada di campagna, ai piedi di un bosco. E dunque incominciare a battere, lentamente, correggendo laddove se ne ravvisi la necessità, un’azione troppo sbrigativa da parte del cane.
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