Una lite in famiglia, poi tracimata fuori dalla mura domestiche, tra un padre cacciatore ed un figlio con turbe psichiche è stata sufficiente per la squadra mobile di Mantignana a procedere con il sequestro dei fucili da caccia del genitore. Un annoso dissidio per questioni d’eredità tra fratelli entrambi cacciatori ed in possesso di un ben fornito arsenale ha indotto i carabinieri di Perugia a sequestrare tutte le armi e i relativi munizionamenti. Ed a nulla sono valse le proteste dinanzi al giudice e l’assicurazione verbale che l’armonia in famiglia stava ritornando anche perché la querela di un fratello all’altro ed alla madre era stata ritirata. Il Tar però, ha considerato molto probabili eventuali strascichi del dissidio e non ha accolto il ricorso che i due, una volta tanto d’accordo, avevano presentato contro il Ministero dell’Interno e della Difesa, nonché contro i carabinieri e la questura.
Sono molti, in Umbria, i ricorsi che vertono su vicende simili a queste. Ma sono davvero pochi quelli che trovano accoglimento. Le interpretazioni giurisprudenziali del Tribunale Amministrativo Regionale sono tuttavia opinabili: “Il porto d’armi..” sostiene il Tar “ ..non è un diritto ma costituisce un’eccezione al normale divieto di portare armi”. Posto che la sicurezza delle persone viene prima di tutto, e quindi non giudichiamo l’operato delle forze dell’ordine se non plaudendo allo sforzo che fanno per mantenerla, lascia perplessi la singolare posizione sul diritto di portare le armi: se la Costituzione ci garantisce il diritto di caccia, come potremmo esercitarlo se non avessimo, parallelamente, anche il diritto di portare gli strumenti idonei alla bisogna?