I cavalletti di un’estemporanea a tema definito sorreggono le tele macchiate di colori e rese vive da prospettive, chiaroscuri, tratti di meditato respiro o pennellate brusche, istintive, a volte geniali. Su di esse, la mano e l’anima di ogni pittore in concorso plasmerà il soggetto, eguale per tutti, a cui l’artista conferirà gradualmente i contorni ed i caratteri a seconda del suo estro svelandone così aspetti per qualcun altro marginali, inesistenti o addirittura negativi. Quale sarà il quadro migliore? Se i concorrenti in gara sono tutti dotati della medesima talentuosità e se noi siamo osservatori in buonafede, sarà molto difficile da parte nostra poter affermare che un dipinto è più bello di un altro. Al massimo, ad esempio, potremo sostenere che quello iperrealista si avvicina di più al nostro gusto, mentre magari di quell’altro, il postimpressionista laggiù in fondo alla sala, non riusciamo a comprenderne appieno il messaggio. O viceversa. Tolto ciò, in tutta onestà, poco altro saremo in grado di aggiungere alla valutazione tecnica delle opere eseguite.
Per i cani e le beccacce funziona esattamente alla stesso modo.
Le mie prime esperienze beccacciaie avvennero dietro la coda del setter inglese di mio nonno. Era un bianconero alto sugli arti e dall’aria attenta, abbastanza dinamico ed attivo, anche se nulla di paragonabile ai suoi attuali velocissimi omologhi.
Ricordo bene, pur essendo stato un bambino, che quel cane fece incarnierare al nonno diverse beccacce fra i boschi del prime falde aspromontane, ed ogni tanto si divertiva anche a fermare qualche coturnice, spingendosi sui calanchi nudi e rocciosi che da lassù guardano il mare Jonio, presidiandolo come immani fortilizi. A paragone dei setter inglesi che ho poi avuto modo di osservare all’opera nel successivo corso della mia vita di cacciatore, Billy era meno che mediocre. Non aveva la sfrecciante radenza che rende molti dei cani d’oggi simili a mitologiche entità silvane, né di questi poteva vantare la ferma estatica ed ispirata che ha indotto negli ultimi cinquant’anni decine di migliaia di appassionati a servirsi di tale razza. Aveva un buon riporto, quello sì, ma in ogni caso nulla di paragonabile al servizio puntuale e quasi supplichevole, eseguito dagli odierni setter inglesi, i quali costituiscono una razza che può senz’altro vantare correnti di sangue di provata vocazione beccacciaia, ma che anche al di fuori di queste non vede suoi esponenti che non siano, su questo selvatico, altamente proficui e produttivi. Provare a trovare dei difetti generici, ovvero connaturati all’intero gruppo razziale, è un’operazione in assoluta malafede, immeritevole di essere perseguita ed immeritata da parte di questo cane magnifico.
Detto ciò, vi dirò che io un setter inglese non l’ho mai voluto. E’ il discorso di prima, quello della gara di pittura fra artisti di talento: non c’è bisogno di aggiungere nemmeno una virgola e dunque non lo farò.
CANI E BECCACCE: L’ANIMA E IL PENNELLO
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