I labrador, proprio perché sommi specialisti, sono chiamati a compiere un lavoro che va ben al di là del mero riporto di un capo di selvaggina. Ad esempio devono saper eseguire il “marking” ossia la memorizzazione di più capi caduti in punti diversi, oppure il riporto a freddo, quando il cane può riportarli solo dopo molto tempo dopo l’abbattimento.
A mo’ di esempio circa le potenzialità di questi cani, vorrei raccontare un aneddoto di quelli che ancora ho difficoltà a credere pur avendolo vissuto in prima persona. Mi trovavo in Scozia, ospite di un amico britannico, ex collega d’università che aveva dei diritti su un lago in cui era possibile cacciare le oche. Era gennaio e di
freddo ce n’era quanto se ne voleva. La cacciata del mattino avvenne direttamente sul lago e si svolse in una tormenta da incubo, con l’ausilio di questi cani che riportarono i pochi capi abbattuti sotto la guida di un esperto guardiacaccia. Gli uccelli vennero recuperati tutti, tranne due, che per le condizioni climatiche non erano stati individuati dai cani. Già quella prestazione sarebbe bastata per sbigottire chiunque non avesse mai visto dei retriever all’opera, ma alla sera, cacciando sul campo, accadde una cosa che non avrei mai creduto possibile. Su disposizione del capocaccia, le oche e le anatre vennero abbattute e lasciate sul posto: accennai ad una protesta inascoltata e sbiancai d’incredulità quando l’amico John, il mio anfitrione, mi disse che era tempo di rientrare, gustare un bell’arrosto e quel buon vino che avevo portato dall’Italia perché a recuperare la selvaggina ci avrebbero pensato i cani, mentre noi ci riposavamo a tavola. Vagamente sgomento, riuscii a blaterare qualche domanda su come avrebbero fatto i cani, che non erano stati presenti a quella battuta, ad individuare e riportare i capi abbattuti, e soprattutto a chi li avrebbero consegnati, considerando che stavamo andando a mangiare nel lodge di caccia distante dal campo almeno duecento metri e che il buio s’avvicinava a grandi passi.
“Don’t worry!” fu la risposta incredibile che ricevetti. Dopo una mezz’ora, nel
capanno fece il suo ingresso il guardiacaccia, proprietario di due dei quattro labrador che avevano lavorato al mattino, e si sedette al tavolo versandosi e poi trangugiando quattro dita di whisky come io avrei fatto con l’acqua minerale. Incredulo, cercai di recuperare la lucidità ottenebrata dallo scorrere delle caraffe e gli chiesi cosa stesse facendo seduto lì e dov’erano i cani. “Working out, of course!” fu la raggelante risposta, seguita da una sonora risata e da un altro bicchierone di un nettare delle isole il cui aroma avrebbe indotto in tentazione un astemio dalla nascita. I cani stavano lavorando fuori, completamente soli. Dopo circa due ore, a cena finita, uscimmo finalmente dalla baracca e rimasi senza fiato: davanti alla porta c’erano ammonticchiate le oche e le anatre, mentre i cani erano sdraiati lì accanto leccandosi e scodinzolando. Ma il colmo doveva ancora arrivare: alla conta dei capi, considerando i colpi sparati, risultarono due oche in più. Quei diavoli , oltre a recuperare gli uccelli del pomeriggio ed a portarli a “domicilio” erano riusciti a ripescare persino i due capi che durante il giorno avevano perduto nel lago!
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