Ci sarebbe da dire di Utz, un kurzhaar bellissimo ed anonimo, di proprietà del guardia di mio suocero, che un giorno d’ottobre, di vent’anni fa nel bosco di Steinhagen in Westfalia, surclassò sulle beccacce, quattro ad una, un rinomato setter inglese specialista proveniente dall’Italia. Il setter era davvero bravissimo, ma con il vecchio Utz, che qualche tempo dopo morì in seguito alla grifata maligna di un grosso verro ferito, non ci fu nulla da fare. Per la verità, di kurzhaar a beccacce ne ho visti sempre diversi: qui da noi, in Germania, in Gran Bretagna, per tacere di Ungheria, Slovacchia e Bulgaria. E non ho mai udito alcuno che ne lamentasse carenze, eccessi o improprietà alla corte della regina. Ma sarebbe troppo lungo, scontato e noioso parlarne, perché allora non potrei tacere di Brio, un indiavolato epagneul breton che pareva attratto dalle regine come un chiodo da una calamita, solo che il potere magnetico l’aveva lui. Oppure della sua pari razza Chicca, una bretoncina con la facoltà, a mio avviso ai limiti del soprannaturale, di arrivare sulle beccacce e sui fagiani seguendo nel bosco un filo che lei pareva intravedere telepaticamente, poiché non accennava alla minima attività di cerca. L’anziano
proprietario l’amava più di una figlia e quando insieme passeggiavano per le vie del paese, sembrava di assistere ad una scena di “Umberto D.”, capolavoro del neorealismo firmato De Sica. La sera, in piazza, gli altri cacciatori chiedevano come gli fosse andata e si meravigliavano della sua immancabile beccaccia. Ma lui rispondeva : “Io? Un’ho fatto nulla io, è stata la mi’ Chicchina!” allungando una carezza alla cagnolina, grassa per i continui bocconcini che lui le dispensava durante la caccia. Ho cacciato con lui tante volte e mi ha insegnato molte cose, ma la cosa che mi ha sempre impressionato era la capacità di quella breton di arrivare sempre, e ripeto sempre, sulla beccaccia o sul fagiano senza cercare, andando al passo e mangiando croccantini. Secondo me sarebbe stato da farci una puntata di “Quark”, secondo l’anziano amico invece era perchè la cagnina “..conosceva i siti ”. Se così era, allora nemmeno l’Istituto Geografico Militare avrebbe potuto conoscerli meglio di lei.
Alla fine di questa carrellata di ricordi ed esperienze, sarebbe giusto trarre una conclusione logica e formale. Confesso però di non esserne capace. Rimango sempre dell’avviso con il quale ho aperto questa nostra chiacchierata, immaginando la beccaccia come il soggetto assegnato ad un gruppo di artisti di talento che, ognuno attraverso il proprio sentire, dipingeranno gli ambienti in cui essa vive, vegeta ed incanta come le sirene i naviganti d’una volta. Questi insigni pittori poi, un tratto dopo l’altro, riusciranno a farla materializzare in forme ed espressioni diverse, tutte belle ed ognuna con qualcosa di inedito, di esclusivo, di sfuggito ad altri.
A seconda del pennello, dell’anima e del cuore.
CANI E BECCACCE: L’ANIMA E IL PENNELLO
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