Il bosco, per la cronaca la mitica Teutoburger Wald, la Foresta dei Teutoni, si stagliava, scura ed infinita, a poche centinaia di metri dai campi dove noi cacciavamo. Con cortesia ed un filo di superiorità, mi risposero che Moritz lo avrebbe ritrovato, dovunque l’uccello avesse deciso di andare. Il cane si lanciò nel campo coltivato ed immediatamente si diresse verso il punto di atterraggio del fagiano. A quel punto, mise il naso a terra ed iniziò a pistare come un segugio, scomparendo in breve fra il verde dei campi, in direzione della foresta. Gli amici mi
invitarono a riprendere la caccia, assicurandomi che Moritz sarebbe ritornato da noi senza problemi. E difatti riprendemmo a cacciare, pur non incontrando altro per almeno un’ora. Dopo questo tempo, io che non avevo smesso un attimo di pensare al cane inviato in quel folle inseguimento ed apparentemente abbandonato a sé stesso, domandai di nuovo al suo proprietario cosa avesse intenzione di fare. La risposta che ricevetti mi lasciò senza parole: avremmo continuato a cacciare, se io ero d’accordo, fino ad un lago poco distante che però avremmo affrontato solo dopo il ritorno di Moritz, in quanto lui era uno specialista per quel tipo di ambienti. Il dubbio che potesse accadere qualcosa al cane o che questi fallisse la missione affidatagli non aveva sfiorato nemmeno per scherzo la mente dei miei anfitrioni. Ma i tedeschi non sono tedeschi per caso, a due o a quattro zampe che siano: eravamo arrivati appena in vista del lago, che dietro di noi, Moritz si materializzò ansimando e frusciando fra le erbe, reggendo fra le grosse fauci il fagiano ormai defunto.
Lascio a voi, amici, i commenti che io, annichilito dallo stupore, in quel momento non fui in grado fare.
DRAHTHAAR: IL SERGENTE DI FERRO…
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