Qui, nel regno dei boschi, un tempo casa per cervi, daini e caprioli e oggi paradiso per moltissime specie faunistiche, anche il suino nero, da tempi remoti, ha trovato il suo habitat ideale. Come testimoniato dai reperti fossili rinvenuti e dai riferimenti di alcuni scrittori dell’antichità, la presenza della specie in queste zone è attestata già tra il VII e VI secolo a.C., nel periodo greco e cartaginese. L’allevamento del suino nero, proseguito nel corso dei secoli, pur tra vicende alterne, è giunto fino ad oggi, facendo registrare presenze sparse in tutta la Sicilia e, in particolar modo, sui monti Nebrodi. Qui, tra i silenzi dei faggi e all’ombra delle querce, scampato al rischio di estinzione, il suino nero ha trovato una terra d’elezione.
Al Suino Nero dei Nebrodi è stata riconosciuta la caratteristica di “razza autoctona siciliana”. Nelle ampie zone adibite a pascolo, vive allo stato brado o semibrado, nutrendosi di quanto la natura offre: simile al cinghiale, sia nelle fattezze che nelle abitudini, è un animale rustico, un eccellente pascolatore e un infaticabile camminatore. Si presenta con taglia minuta, cute nera, testa lunga a profilo diritto, faccia affusolata con grugno stretto, orecchie piccole con punte in avanti, robuste setole con forma di criniera nella zona dorso-lombare, tronco poco sviluppato, collo mediamente sviluppato, altezza al garrese di circa 60 – 70 cm, groppa inclinata, arti robusti e lunghi.
Nel caso di allevamento semibrado, praticato su estese superfici recintate, come ricovero per i parti e per lo svezzamento viene utilizzato lo storico e tradizionale “pagghiaru” (o “zimma”): si tratta di una costruzione a basso impatto ambientale, realizzata con pali che, partendo dalla base di un cerchio di pietre, si uniscono al vertice creando un cono, rivestito con ginestre, felci e zolle di terreno. L’ambiente interno di questa tipologia di ricovero, sia in inverno che in estate, concorre a garantire il benessere dell’animale.
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