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MURGESE: IL NERO D’ITALIA..

Amico Cavallo
5 Settembre 2020 di Mario Sapia
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murg 7

All’inizio del sedicesimo secolo, la repubblica di Venezia scelse le Murge per impiantare il più importante dei suoi allevamenti equini. Era “La Cavallerizza”, masseria delle Murge baresi entrata nelle leggenda perché da questa struttura, ancora esistente, sono usciti alcuni fra i più importanti stalloni d’Europa. La scelta dei veneziani non era frutto del caso. La posizione strategica del “tallone d’Italia” nonché le condizioni pedoclimatiche delle Murge, e di quella porzione in particolare, erano un connubio perfetto per incrementare la produzione di quei puledri di altissima qualità per i quali la Serenissima era famosa. La Cavallerizza non fu gratuita, ma venne ottenuta dai veneziani pagando col sangue che dovettero versare per liberare il regno di Napoli dagli invasori francesi di Carlo VIII. All’epoca, fra italiani ci si aiutava ancora. In questa masseria ed in altre della zona, i re Aragonesi allevavano da decenni i loro cavalli migliori, discendenti diretti dei più pregiati corsieri murg 3importati dall’Andalusia e incrociati con le cavalle locali, ovvero quelle forgiate secoli prima dalla genialità di Federico II.
Agli occhi esperti dei maestri di scuderia della repubblica di Venezia, la qualità media dei soggetti detenuti apparve come una sorta di bengodi. Riunirono in un unico nucleo gli stalloni migliori, casualmente quasi tutti di manto morello, e a questi neri signori diedero in sposa le loro “lupifere”, le giumente più nobili, quelle che avevano dato prova di procreare solo animali d’eccezione assoluta. Il clima mite e l’ambiente della Cavallerizza erano una combinazione pressoché ideale, con corsi d’acqua fresca tutto l’anno, con immense estensioni di pascoli e boschi di quercia dove i cavalli potevano prosperare, peraltro con poca spesa, per tacere dell’orografia variegata,vantaggiosa per l’ottimale irrobustimento degli arti. E in piazza San Marco, nel cuore della metropoli veneta, i cavalli usati per le parate iniziarono ad essere tutti rigorosamente morelli.
A questo punto, un altro tassello nella costruzione genetica della razza murgese era stato aggiunto, ed un altro passo era stato mosso verso quella omogeneità fenotipica, conseguita solo alcuni secoli dopo, poiché il cavallo, si sa, vive a lungo e procrea poco. Ma andiamo avanti. Il corso della storia e degli eventi portarono al decadimento della “Cavallerizza”, ed alla dispersione del suo patrimonio di anima e sangue. Gli spagnoli se ne reimpossessarono, ma ormai guerre, siccità, alluvioni, carestie e malattie avevano depauperato quella gloriosa fucina di destrieri entrati nella leggenda, in grado d’essere impareggiabili compagni d’arme e d’avventura per i gentiluomini più in vista del Rinascimento, così come alleati preziosi per i massari e per la umile gente delle campagne.
La Cavallerizza però, pur avendo perduto grandissima parte del suo contingente equino, non era completamente scomparsa. Anzi, fu ancora unamurg 13 volta proprio da qui che ricominciò il suo cammino la vicenda della formazione del cavallo murgese, legando il suo nome ad un altro, destinato anche questo ad entrare nella storia: la contea di Conversano, data in premio dal re di Napoli ad Andrea Matteo Acquaviva d’Aragona per ricompensarlo degli atti di valore compiuti da suo padre e suo fratello nella famosa battaglia d’Otranto contro i turchi. Il giovane conte nutriva per i cavalli una passione profonda, in più supportata da un interesse intellettuale non comune, doti entrambe che lo portarono a compiere studi approfonditi d’ippologia e perfino di veterinaria. Andrea Matteo decise di recuperare quella corrente sanguinea, ormai ridotta ad un rivolo, che proprio alla Cavallerizza era stata fusa, distillata e perfezionata dai veneziani della Serenissima. Riunì insieme le migliori fattrici pugliesi superstiti, scegliendole fra le più rustiche, massiccie e meglio dotate di zoccolo duro, quindi, importò stalloni andalusi di particolare eleganza, stalloni arabi e cavalli berberi che si distinguevano per il carattere indomito e per l’occhio infuocato come pochi altri. I risultati non si fecero attendere. La “razza” di Conversano cominciò a valicare i confini della penisola giungendo fino alla Spagna e all’Europa centrale, mentre la fama della competenza del conte s’era talmente allargata che perfino l’imperatore d’Austria volle la sua consulenza per l’acquisto di due stalloni arabi che servirono poi da base alla formazione della razza lipizzana. Nelle tenute della contea, l’indirizzo allevatoriale dato da Andrea Matteo era orientato secondo due direttrici: una produceva corsieri e destrieri, ossia cavalcature più leggere, adatte alla caccia, alla corsa e all’assalto rapido in battaglia, mentre l’altra sfornava cavalli più massicci, robusti, da utilizzo pratico nel lavoro dei campi o nel trasporto e le cui femmine erano particolarmente adatte alla produzione mulattiera.

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