Un’altra ora è passata. Il semicerchio è quasi concluso e fra poco ci riaffacceremo sul torrente. E’ l’una e venti, sento freddo, e sono affamato.
Tornando verso casa, aspetto che il demone dello sconforto bussi alla mia spalla. Gli elementi per la sua evocazione, senza dubbio ci sono tutti: l’unica beccaccia del monte allocata in un posto insospettabile, la ferma magnifica di Cesare profanata da una padella clamorosa, e un lungo, vano giro nel bosco nella speranza di poterla ribattere. Tuttavia, non lo sento arrivare. Non provo il freddo intorno al cuore, non avverto il grigio attorno alle forme e alle cose, non sento il peso sull’anima che precede e annuncia la sua presenza. Al loro posto invece, inizia ad arrivarmi un curioso senso di pace. Me ne domando il perché, dato che nel carniere non c’è niente. Poi, fra gli alberi che scendono insieme al torrente giù per la valle scorgo un muso e due occhi brillanti: guardo meglio e vedo la Denny. Pare che mi sorrida. Mi sento sereno di colpo, senza una ragione. Da dietro un masso compare Zagor, e avverto un flusso caldo che scaccia via il freddo del vento. In quel momento, in cima ad una pettata scorgo la sagoma possente di Atreo. Dietro di lui, come ombre, tutti gli altri amici di una vita di caccia. Ancora una volta non mi hanno abbandonato.
Hanno scacciato via i demoni e sono tornati tutti accanto a me come avevano sempre fatto nel momento del bisogno.
Solo adesso mi rendo conto di quale grazia ho ricevuto nel vivere un’avventura all’aria aperta, da quali emozioni sono stato arricchito, quale preda magnifica ho potuto depositare nel carniere dell’anima, quello che non si svuota mai, che può solo crescere, che dura per sempre.
Sono stati gli amici miei a farmelo capire. Ancora una volta, ora come allora.
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