Guardo Cesare con uno scampolo d’occhio. E’ sempre immobile, bloccato come il fotogramma di un film, e in alto fra gli alberi un grosso colombaccio spicca il volo a tiro di schioppo. Soffro guardando sparire le bella ombra d’ardesia nel verde profondo della foresta. Un piede mi scivola. Tiro giù terra e sassolini e strofino il petto sul costone. Mi risollevo arrabbiato e impolverato, certo del frullo. Ma il cane è scolpito in una ferma granitica. Non un muscolo gli si muove, neanche un pelo, e la sua bocca continua ad assaporare con ingordigia quell’aroma che l’ha catturato con forza magnetica. Fatico guadagnando un altro metro di costa fra un vortice di pensieri e qualche invocazione, e riesco infine ad arrivare sul bordo del costone riassumendo la postura verticale. Brandisco la doppietta quasi con ferocia, ma trovo in un angolo della mente una manciata di freddezza ed esamino con lo sguardo il terreno davanti a me, fra il sottobosco del querceto. Tutto tace; Cesare non si muove; il vento aumenta un poco tagliandomi il viso e la foresta sembra pietrificata. Noto un fungo col bordo lacerato. Guardo a destra e a sinistra senza muovere un passo, infine la vedo. E’ due metri davanti a me, e tre davanti al cane, l’inconfondibile fatta della beccaccia con la sua oliva scura al centro. L’ammiro come se stessi guardando una bella donna e non un escremento, ma un perfido demone mi sussurra che forse Cesare sta fermando la fatta, sciupandomi l’emozione e avvilendo lo spirito. Muovo d’istinto un passo in avanti. e nello stesso momento noto con l’estrema porzione d’occhio un’incrinatura nella ferma dello spinone. So già cosa sta per succedere. La beccaccia frulla e
scoppietta così vicina alla mia schiena, che mi pare quasi di poterne sentire le penne sul collo. Trasalgo, ruoto sulla destra imbracciando la doppietta in uno swing impossibile: prima botta dietro, seconda botta chissà dove. Deglutisco, espiro, guardo il bosco come quando a teatro si chiude il sipario, e alla fine riabbasso l’arma. Cesare è corso dietro alla sagoma fuggente, ed ora ritorna da me, avvicinandosi e cercando una carezza. Lo faccio tutte le volte che mi riporta qualcosa, e sarei meschino ed ingiusto se non lo facessi ora, macchiato come sono dal peccato e dalla colpa. Passargli la mano sulla testa irsuta ha il potere di restituirmi la calma che sembrava avermi abbandonato. Guardo ancora una volta i grandi tronchi degli alberi, poi mi giro e scruto la gola con l’acqua che scorre imperterrita. Sono combattuto fra la voglia di tornare a casa e quella di addentrarmi nella foresta all’inseguimento della regina beffarda. Decido per un decoroso compromesso, e mi propongo di effettuare un semicerchio che includa i possibili “sette” procedendo da sinistra a destra, ovvero da sud verso nord passando per ovest, dopodiché tornerò verso il greto del torrente.
CANI E BECCACCE: GLI AMICI MIEI…
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