La prima ferma la vedo dopo oltre due ore di scarponata, a ridosso di un costone di roccia che si ergeva dal letto sabbioso del fiume ricoperto da un piccolo bosco. Cesare ha puntato inesorabile verso gli alberi sovrastanti, con gli occhi vitrei per l’estasi mentre io attendo percorso da un fremito ed i secondi trascorrono gravati dalla tensione che comincia ad assumere la consistenza di una cappa di piombo. Incomincio a formulare cento considerazioni e ognuna diversa dalla precedente, facendole scorrere come in un carosello: la posizione è decisamente sfavorevole al tiro, su questo non si discute, tuttavia non oso abbandonarla poiché per farlo dovrei arrampicarmi sul costone rendendomi così del tutto inoffensivo. Lo spinone rimane inchiodato. Le mani si aggrappano alla doppietta, e la parte razionale di me è combattuta fra l’idea di farlo avanzare forzando la ferma e provocando il frullo, e la tentazione di provare a guadagnare una linea di tiro migliore, tale da avere almeno un paio di possibilità in più. Sospiro, optando per quest’ultima alternativa, ma se non altro ho messo a tacere la coscienza che protestava indignata all’idea di far rompere al cane una ferma così rapita; oltre a ciò, mi conforta l’indubbia considerazione strategica che da laggiù avrei davvero delle difficoltà a colpire qualsiasi cosa per avventura si alzasse. Il vento gelido spira lungo il letto del fiume gelandomi il viso e diffonde la tensione fra tutti i protagonisti del dramma che sta per compiersi: Cesare mastica l’effluvio e freme; i piccoli uccelli del bosco sono ammutoliti, e perfino l’acqua sembra scorrere in silenzio per non disturbare. Muovo il piede destro cercando un appoggio per salire, provo a controllare la prospettiva di tiro e passo il fucile nella mano sinistra aiutandomi con l’altra nella lenta risalita. Guadagno il primo metro. Metto il piede sinistro su uno spuntone e afferro un ciuffo di scopa. Sento il respiro diventare affannoso, e il sangue mi circola con forza, come spinto da due cuori invece che uno solo. Centimetro dopo centimetro, l’ansia cresce insieme alla speranza che l’uccello non frulli. Lo scalpiccio degli stivali sulla terra smossa mi provoca un moto d’angoscia al pensiero che possa vanificare lo sforzo di entrambi. Sudo, malgrado il freddo.
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