Scorro le pagine ingiallite e morbide di uno dei testi sacri della cinotecnìa nazionale, quel “ Cane da ferma, chi è e cosa fa..” di Giulio Colombo uscito subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel 1947, per i tipi dell’Enciclopedia Della Caccia di Milano. Il vate lombardo, con la chiarezza che gli è sempre stata propria, risponde prontamente e mi fornisce alcuni spunti di riflessione: “ Siamo a caccia e dobbiamo prima di tutto risolvere una pregiudiziale: quando è possibile la cerca incrociata? Quando nessun ostacolo si frappone all’itinerario progressivo del cane. E’ utile sempre abituarlo al metodico rastrellamento del terreno, perchè, trovandosi nella condizione di potere, non trascuri di farlo, ma teniamo presente anche di non pretendere l’impossibile, perchè l’utilità di una pratica non ha niente a vedere con la sua possibilità. Quando il selvatico si presti, bazzicando al pulito: stoppie, prato, brughiere e talvolta vigneti. E’ tassativamente ineffettuabile in estate ed autunno con frutto pendente, nei mais, nei migli, nelle melichette, in ogni sorta di folti a ceduo, nei canneti; superflua e gratuitamente estenuante, in montagna; ridicola e dannosa in marcita, nei risi, nei paduli e nei boschi; a beccacce.”
Se ci premuriamo di analizzare la risposta del maestro, scopriremo facilmente che egli ha escluso il novantacinque per cento dei tempi e delle situazioni venatorie del nostro paese, salvando agli effetti pratici solo le stoppie e i prati. Di questi ambienti diremo che le stoppie sono figlie di colture ad alto fusto che hanno sussistito per quasi tutto il periodo di caccia, e i prati si riducono in sostanza esclusivamente a quelli d’erba medica, poiché in montagna sono per lo più ormai inseriti in contesti di parchi, oasi e riserve di genere vario. Con la stessa serenità però, dobbiamo considerare la prescrizione con cui Giulio Colombo apre la sua risposta, ovvero la necessità che il cane venga abituato ad incrociare perchè lo metta in pratica non appena gli è possibile, in un soffio cinofilo da cogliere nella più robusta affermazione da pragmatico cacciatore che vi si legge. Guardate però, che questa risposta di settant’anni fa, non è di quelle leggere: decenni e decenni di prove, selezioni, campionati avrebbero avuto l’unico scopo di mantenere determinate attitudini razziali che nella sostanza pratica servono in rare occasioni, e dunque, alla fine la pretesa d’una cerca incrociata nei nostri territori, sarebbe un modo per mantenere l’ancora allo standard ma poco o nulla di più. Non può sfuggire infatti, nemmeno al più integrale dei puristi, che se l’assunto aveva una sua forte validità allora, adesso sarebbe da elevare al cubo, considerate le generali contingenze della caccia e del territorio.
CANE DA FERMA : LA CERCA INCROCIATA
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