Le razze di grande taglia, come i grand Bleu o i poitevin, ricevettero il sangue foxhound e staghound, dando vita a quelli che sarebbero poi stati chiamati grand anglo-francais, mentre le razze di taglia media, quali i petit bleu, i porcelaine o gli ariegeois, diedero vita agli anglo francais de petit vènerie. Naturalmente non fu così automatico, né così rapido. Il riconoscimento ufficiale, dopo anni di vicende chiare ed oscure, arrivò alla fine degli anni settanta, spinto e caldeggiato da cinofili quali Daubignè, ormai vecchissimo, ed Emile Guillet.
Ma cosa ottennero i francesi, da quegli incroci? Quali furono i risultati? Essi cercarono di incanalare insieme le indiscutibili qualità di coraggio, velocità e resistenza fisica dei segugi britannici con la correttezza di comportamento e col naso prodigioso delle loro razze, stancate da ritorni sanguinei sempre più frequenti.
I risultati furono da quasi subito superiori ad ogni aspettativa, anche se dovettero passare molti decenni per fissare in via definitiva il tipo, conferendogli le sfumature desiderate. In Italia, l’unica razza ad essere conosciuta ed adoperata praticamente è l’Anglo-Francais de Petit Venerie, più leggero e poliedrico, che in Francia venne da subito impiegata sul capriolo, ma soprattutto su volpe e cinghiale, passando senza problemi per la lepre ed il daino. Solo cervo e lupo per evidenti ragioni di inopportunità, gli vennero risparmiati. E, tuttavia, malgrado la destinazione d’uso inscritta nel nome, questo anglofrancese venne impiegato con discreto successo anche in Grand Venerie. Nel nostro belpaese, intorno ai primi anni ottanta è stato il cinghiale e la sua espansione a fungere da innesco e, naturalmente, a fare da bersaglio a questa razza nuova, rinfrescata e pronta ad accettare la sfida che il re della macchia avrebbe lanciato loro.
ANGLOFRANCESI, SEGUGI D’EUROPA
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