I francesi hanno sempre avuto uno modo originale di fare cinofilia. Hanno mescolato senza pietà razze fissate ed attestate, creandone di nuove che differivano poi dalle originali solo per particolari insignificanti o puramente estetici. Ma, ciò che soprattutto impressiona, è che pur magnificando le loro razze ed esaltando i loro costumi e la propria tradizione venatoria, non si sono fatti scrupolo di attingere a piene mani a sangue straniero, spacciando poi i prodotti per “autenticamente francesi”. In questo caso però, il costume allevatoriale transalpino, ha partorito quello che, con una terminologia oggi molto in voga, possiamo definire un prodotto di assoluta eccellenza. Ebbene, all’inizio del secolo scorso, alcune delle razze francesi più classiche cominciavano a mostrare i segni di una stanchezza genetica incipiente. Linee di sangue affidate ad un unico
riproduttore, che spesso era padre, nonno e bisnonno, scarsa selezione dovuta all’esigenza di mantenere mute numerose costasse quel costasse, nonchè orientamenti addestrativi ancora completamente in mano alla vecchia guardia, avevano iniziato a denotare una serie di problemi più che rimarchevoli in moltissimi degli “equipages” da grande e piccola Veneria. Fiato accorciato, velocità diminuita, coraggio ridotto a brandelli. Rimaneva solo un grande naso ed una ferrea tenacia nel servirsene. Non era poco, ma non bastava più. Iniziarono così i rinsanguamenti acquistando in Inghilterra riproduttori adulti ma ormai superiori agli otto anni e dunque ritirati dall’“hunting” attivo, mentre i cuccioli, invendibili in Gran Bretagna, vennero acquistati dalle poche mute di sangue inglese puro presente in Francia. Cominciò così la storia degli anglofrancesi.
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