Dopo la predominanza numerica dei pointer durata fino alla fine degli anni cinquanta del Novecento, il cane che più di frequente si vede nelle nostre campagne quando le cacce sono aperte, è il setter inglese. I motivi del suo successo sono tanti, ed ognuno di essi pienamente condivisibile da chiunque voglia compiere una disamina leale e tecnica delle caratteristiche della razza. La sproporzione numerica con gli altri cani da ferma, ma segnatamente col pointer, suo diretto “rivale” ed omologo in ogni branca dell’attività artemidea, è un dato di evidenza macroscopica. Senza andare indietro nel tempo, ma solo esaminando i numeri riferiti agli anni dal duemilasette ad oggi, ci troviamo davanti ad una differenza sconvolgente: quindici, sedicimila cuccioli iscritti all’Enci per il setter, a fronte dei tremila calanti per il pointer. E’ evidente che il cacciatore italiano ha preferito il primo, non da ora e non di poco, rispetto a tutti gli altri e soprattutto al cugino a pelo raso, ma è interessante provare a capire perché, entrando, per quanto possiamo, nell’universo privato di uno dei cani più amati del mondo.
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