“Allarmi allarmi, la campana sona! Li turchi su calati alla marina!”. Questo era il canonico urlio di allarme quando, secoli e secoli fa, le coste italiane erano meta di turismo predatorio delle navi saracene. E allora tutti scappavano, le donne si chiudevano in casa, gli uomini si armavano e provavano a fronteggiare, per come potevano, le orde fameliche di Salah a’Din. Ebbene, per noi cacciatori quel tempo non è mai finito. La rumenta assalitrice non è più quella con la scimitarra in pugno e le vele rosse fluttuanti nel vento, anche se a ben vedere poco ci manca, e il pericolo quest’oggi non lo corrono le nostre splendide coste, bensì un rada ancora più azzurra e sacrale: la nostra libertà. La recente manifestazione di piazza in Piemonte contro un calendario venatorio che attraversando tutte le cinquanta sfumature del fango della vessazione ha sconfinato nel ridicolo, se non nell’inverosimile, è stata solo una lodevole ma insufficiente reazione al perenne
tentativo di cancellare la caccia non solo dallo stato di diritto, ma anche dal vocabolario della lingua italiana. Il governo attualmente in carica non è una garanzia totale, in quanto le forze anticaccia sono fisiologicamente parte del movimento politico che detiene la maggioranza dei seggi: sono lì dalla nascita e, si sa, il “dagli al nembrotte” è un vizio che non si perde mai. Anche importanti forze del centrodestra, più tradizionalmente vicine al mondo venatorio, stanno incominciando ad accogliere posizioni scellerate. Una per tutti la signora Brambilla, che confonde ad arte il maltrattamento degli animali con la caccia ( come dire il sacco dell’immondizia con la teglia del risotto) e ne auspica la chiusura immediata. Ovviamente, mentre la sciura in questione conta quanto il due briscola, chi l’appoggia detiene invece un peso tutt’altro che indifferente:lo si vede da certi svarioni, tutti guarda caso a nostro sfavore, che sulle reti Mediaset si perpetuano sera dopo sera. La sinistra però, è il vero serbatoio di veleno anticaccia. Dalla sinistra ideologica, tradizionalmente sodale con femminismi, pacifismi, animalismi e amorismi color dell’iride, sono partiti gli attacchi più pesanti, le bordate più subdole ma soprattutto le posizioni più incomprensibili, se si considera che la caccia è un atteggiamento mentale, un trasporto spirituale, una pulsione dettata dall’eredità di alcuni cromosomi diffusi in tutte le classi sociali, senza nessuna distinzione di censo o di portafoglio. Quindi sinistra sciocca, velenosa e autolesionista. Comunque, nonostante tutto, nell’ultimo quarto di secolo abbiamo goduto di una certa tranquillità sulla scorta del referundum stravinto, quello dell’anno novanta, che mise a tacere perfino un immarcescibile come il defunto Pannella, gran sacerdote della consultazione da lui voluta soprattutto per eliminare la caccia, mascherando l’intento con la questione pesticidi. La tornata, ricorderete, era a quorum, ovvero la sua validità era legata al raggiungimento di una certa percentuale di votanti. Orbene, gli attuali inquilini di Montecitorio, stanno brigando per togliere questo limite. Ciò significa che basterà che qualche anima prava rimetta su il carrozzone, per scatenare una guerra senza quartiere dalla quale non so se riusciremo vincitori, a quasi trent’anni di distanza e con le menti e le coscienze dei nostri giovani, all’epoca neanche nati, alterate dalla propaganda di tante buone maestrine duepuntozero, ossia quelle che si scaldano per un tordo mentre, nel cappuccino, inzuppano il cornetto prodotto con le uova di galline stremate giorno e notte dalla luce al neon in venti centimetri di gabbia.
Stiamo in campana allora, Poichè questa, per noi cacciatori, non ha mai smesso davvero di suonare.





