Non deve far inorridire, tale evocazione: in molti casi di uste “congelate” da pioggia fredda post temporalesca, da galaverna o da terreno ed aria molto siccitosi, quella che è stata definita da Edmondo Amaldi come “seguidata” rimane l’unico mezzo davvero utile per aver ragione d’un fagiano o d’una quaglia che, se dopo la ferma il cane dovesse contare unicamente sulle microtermiche ascensionali, si allontanerebbero di pedina senza colpo ferire. E’ un’arma in più, un jolly, una specie di ridotta che il bracco innesta quando si rende conto che è il sistema migliore per arrivare sulla preda, e che comunque solo occasionalmente sostituisce la guidata a testa alta.
L’andatura, s’è detto, è principalmente il trotto. Il vantaggio di una simile presa di
terreno, originata, ribadiamolo, dalla conformazione dei suoi assi cranio facciali e dall’orientamento del tartufo, è palese soprattutto in assenza di vento, quando il cane sarà costretto a servirsi esclusivamente di piccole correnti in ascesa a causa della differenza di temperatura fra il corpo o il fiato del selvatico e l’ambiente circostante, mancando la veicolazione parallela al suolo data appunto dal movimento eolico. Quindi, laddove questo cessa di essere un alleato, la facoltà datagli dalla morfologia del suo naso consente al bracco italiano una notevole redditività nell’azione venatoria, permettendogli di dominare fossi, rovi e canali senza che sia necessaria la presenza di conduzione aerea dell’usta, prescrizione che per altre razze da ferma è vincolante per potersi esprimersi al meglio. Naturalmente, per dare il giusto tempo alle narici di percepire le particelle prive della folata penetrante, sarà necessario non andare troppo forte, ossequiando così la bontà e la duttilità di un comodo trotto, che potrà essere spinto o no, ma che comunque si rivelerà sempre adattabile alla situazione.
BRACCO ITALIANO : IL NASO D’ITALIA…
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