“Il cane continentale italiano é per massima un trottatore non perché l’andatura di trotto lo rende pratico ma perché è il cane portato a riflettere a disintricare eventuali problemi che la selvaggina pone per difendersi dall’insidia. L’andatura infatti è l’espressione più palese del loro carattere. Il bracco e lo spinone hanno predisposizione, per atavismo ad unire il cervello e l’olfatto alla furberia. Dotati di carattere malleabile sono inoltre affettuosi, bonaccioni che manifestano innata tendenza ad essere rispettosi e ubbidienti. Hanno il merito ad adattarsi a tutte le circostanze dell’ambiente in cui si svolge la loro vita.”
Con queste parole Paolo Ciceri, l’indimenticato papà dei bracchi italiani, negli ormai introvabili “Appunti sul Bracco Italiano” di cui possiedo una rarissima copia autografata, sintetizzava magnificamente la filosofia di lavoro dei cani da ferma italiani. Una filosofia, a detta di Ciceri, perfettamente consona alle attitudini del cacciatore nostrano e adattata come un guanto al complesso ambientale e faunistico della nostra penisola. Naturalmente, chiedere a Paolo Ciceri se il bracco italiano fosse un buon cane sarebbe stato come chiedere a Romeo cosa ne pensasse di Giulietta; tuttavia, a leggere bene fra le righe degli scritti che il maestro pavese ha lasciato, non può sfuggire la ricerca di un equilibrio fra amore e raziocinio, fra le ragioni del cuore e quelle di una logica cinotecnica da lui sempre perseguita attraverso la monumentale opera di allevatore ispirato che ne ha contraddistinto l’esistenza.
Più volte, leggendo i suoi testi o le interviste che di quando in quando rilasciava,
ricorrono frasi che tradiscono il profondo legame di sentimento che intercorreva con la razza bracca, e che agli occhi del lettore superficiale o distratto potrebbero apparire come degli assolutismi privi di interesse cinologico. In realtà Ciceri era un tecnico di grandissima preparazione personale, benché autodidatta, e riusciva sempre a circostanziare le sue affermazioni con dati di fatto scaturiti dall’esperienza pratica e dallo studio approfondito che egli fece sul bracco italiano. È impossibile infatti non cadere nella tentazione di deprivare del giusto valore tecnico frasi come: “Un bracco o uno spinone fornisce gradevole sensazione quando esegue il riporto che pur essendo qualità istintiva lo accompagna con leggero mugolio di gioia nel consegnare la selvaggina. Il comune detto ” l’è un om !” dimostra la realtà. Naturalmente i cani vanno usati, l’esperienza li rende scaltri, non pretendere di avere soggetti abili adoperandoli una volta tanto. Se per precisione si può ammettere che non tutti i cani continentali esistenti possiedono queste qualità riunite, come del resto si verifica in qualsiasi altra razza, v’è da aggiungere che se vi è dato la fortuna di incontrare qualcuno di veramente notevole potete star sicuri che avrete trovato il miglior cane da caccia che potevate immaginare.” Leggendo questa frase, un appassionato, quanto magari superficiale ed inesperto cultore di altre razze storcerebbe il labbro in un sorrisetto ironico.
BRACCO ITALIANO : IL NASO D’ITALIA…
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