Gli States sono da considerarsi la seconda patria del Weimaraner, insieme forse, anche se in misura numericamente inferiore, alla Gran Bretagna. Negli anni del dopoguerra, in America ma non solo, la gente credeva facilmente a tutto ciò che leggeva senza un minimo di discernimento critico e si prostrava ai piedi di quel che appariva favoloso, miracoloso, sensazionale. Un po’ come oggi, mi verrebbe da aggiungere. Così, quando la rivista “Look”, nel 1950, pubblicò una copertina con una grande foto di un weimaraner titolandola a caratteri cubitali “The wonder dog”, il cane delle meraviglie, si scatenò un’autentica febbre da possesso nell’animo di moltissimi cinofili, ed anche in chi magari cinofilo non era mai stato, ma era disposto a diventarlo pur di avere con sè il “misterioso cane tedesco, tenuto segreto per più di un secolo nei castelli del vecchio cuore d’Europa”. Come d’incanto, i weimaraner comparvero al fianco di presidenti e re, di nobili e magnati, di attori e di cacciatori comuni mortali ma con grandi disponibilità, che avevano deciso di vedere se “ the wonder dog” era davvero così straordinario come veniva descritto. Eisenhower ne volle uno, Grace Kelly si fece ritrarre con un’altro. Molte riviste non ebbero scrupoli nel coprirsi di ridicolo scrivendo che il Weimaraner era l’unico cane al mondo che sapeva rispondere al telefono staccando il ricevitore; e la cosa sbalorditiva fu che qualcuno disse di
aver indagato confermando tale teoria. Le riviste di caccia e pesca pubblicarono molti aneddoti ed articoli riguardanti questo cane, quasi tutti mirabolanti e spesso esulanti il contenuto tecnico. Ad esempio su “Field and Stream”, Jack Denton Scott scrisse di un salvataggio di un cacciatore, Jack Baird, ad opera della sua weimaraner che lo tirò fuori da un fiume con le sole proprie forze e sostenne poi che questa razza di cane poteva correre ad una velocità di sessanta chilometri all’ora. Naturalmente non venivano scritte solo corbellerie ed esagerazioni (il salvataggio avvenne davvero, ma la cagna, che dimostrò comunque un’intelligenza ed una devozione più che umane, non tirò fuori lo sventurato Baird ma si posizionò accanto a lui permettendogli di rimanere aggrappato al suo dorso e il cacciatore pian piano uscì dall’acqua aiutandosi con le gambe): il cane trovò negli Usa una palestra di enormi dimensioni. Venne attuata una selezione seria ed i cani mieterono successi nei Field trials più che i kurzhaar ed i drahthaar. I cacciatori di anatre lo apprezzarono grandemente, e tuttora lo considerano fra i migliori ausiliari per le zone umide, anche e soprattutto nella “versione” a pelo lungo. Contemporaneamente, il Regno Unito funzionò da trampolino per esportare questa razza in tutti i paesi più importanti dell’allora Commonwealth: Australia, Canada, Sud Africa e Nuova Zelanda funsero così da casse di risonanza e da banchi di prova per il bracco di Weimar, confermandone appieno e senza incertezze, tutta la sua polivalente versatilità.
Weimaraner, il bracco d’argento
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