E così, mentre nel resto della Germania iniziava la sua avventura quello che in seguito sarebbe diventato il kurzhaar, alla corte di Turingia si cominciò a selezionare in base alla caratteristica di un colore assolutamente unico. La razza fissò ben presto i suoi geni dominanti, sia morfologici che caratteriali, plasmando un cane dall’ampio ventaglio di peculiarità, in cui la ferma della selvaggina da piuma era solo uno dei servizi contemplati, malgrado fosse il più moderno. Nonostante questo traguardo, nel carnet di esperienze del Weimaraner non mancarono mai cervi inseguiti, cinghiali abbaiati e volpi riportate, così come, ad onor del vero, non fecero mai difetto anatre, oche ed altra selvaggina d’acqua, perseguita, fermata e all’occorenza ripescata con precisione anche da acque invernali e profonde. All’inizio del diciannovesimo secolo, il weimaraner poteva godere di una visibilità consolidata e di una fama, un filo esagerata, di cane portentoso ma elitario, solo per pochi, allevato in piccoli numeri e ceduto sempre con grandi difficoltà. E’ noto a tutti, a titolo d’esempio, l’episodio, avvenuto però molti anni più avanti ma testimone dell’alone quasi misterico che avvolgeva questo cane, di Kaiser Wilhelm, ovvero l’Imperatore di Germania, che negò un cane di questa razza al suo potente cancelliere, Otto Von Bismarck, al quale in passato non aveva mai avuto il coraggio di rifiutare nulla. Intorno alla seconda metà dell’ottocento, si scontrano due linee di pensiero: una è quella che vuole il bracco d’argento come una variazione, neanche del tutto desiderata, del nascente kurzhaar, che solo casualmente ed in modo decisamente fortunoso era stata notata dal Granduca di Weimar ed allevata di conseguenza; l’altra, che invece propugnava una formazione autonoma del weimaraner rispetto al bracco tedesco a pelo corto, escludendo l’infusione di sangue spagnolo. Mai come in questo caso però, la verità è da ricercarsi nel mezzo.
Weimaraner, il bracco d’argento
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