Ricordo quando le quaglie si potevano cacciare a ferragosto. Ero un ragazzino ed ovviamente non possedevo il porto d’armi, ma mi offrivo volontario per accompagnare i miei zii, che come noi trascorrevano le ferie estive nella casa avita, nella speranza di rimediare anch’io qualche tiro sulla ferma del cane. Il nonno, ormai da qualche anno era partito per andare a caccia dove non c’erano divieti e calendari, ma i suoi tre figli avevano continuato la tradizione ferragostana mettendo in bauliera, insieme al costume da bagno, anche il fucile. Ricordo benissimo tutto ciò che preludeva all’apertura, che poi era sostanzialmente imperniata sui due classici estatini, ossia quaglie e tortore: la scelta e la preparazione delle cartucce, le scaramuccie scherzose fra gli zii su chi possedesse l’arma migliore, nonchè i “consigli di guerra” in cui la discussione sui piani strategici vedeva sempre prevalere la volontà di zio Pasquale, il più anziano, che con un vocione da far impallidire Mangiafuoco chiudeva il “summit” con un perentorio “Andiamo sull’Amendolea, dal lato di mastro Mico. E non rompete più le balle!”. Nessuno, ovviamente, osava contraddirlo. L’indomani, quando ancora il mare faceva sentire lo sciaquìo notturno, venivo scrollato da zio Pasquale in persona, il quale, bontà sua, aveva visto in me un promettente soggetto da introdurre ai venatici uffizi. Partivamo rigorosamente a piedi attraversando le colline dell’entroterra che profumavano di mille essenze estive, accompagnati da un
amico del posto e dal suo bracco tedesco. Già ai primissimi albori, quando era più notte che giorno, il bracco veniva sciolto e invitato a controllare se vi fosse qualcosa nelle vallette fra una collina e l’altra. La vegetazione, a parte gli immancabili arbusti mediterranei quali cardi, finocchi selvatici e sambuchi, era costituita essenzialmente da pascoli coronati da boschetti d’eucalipti, qualche giardino ad agrumi, e antiche piante di mandorli ed olivi, meravigliose come solo in Calabria è possibile vedere.
Il buon bracco trotterellava piano, annusava il terreno, incannava una bava d’aria e quindi risaliva una collinetta a passo di leggero galoppo. Alla fine fermava, aggiustando leggermente l’assetto sugli arti e roteando ogni tanto gli occhi per controllare se i cacciatori lo stessero raggiungendo. Ricordo come le quaglie non frullassero quasi mai da sole. Molto spesso si levavano in coppie, se non addirittura in piccoli branchetti composti da giovani quagliardi. Le cartuccine del dieci li abbattevano senza problemi, dopodiché, un po’ il cane un po’ io, provvedevamo al riporto.
APERTURA ALLE QUAGLIE : LA REGINA D’AFRICA…
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