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Novelle di caccia: La posta del Somarino

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29 Giugno 2017 di Mario Sapia
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L’alba rivelava lentamente il tappeto merlettato di galaverna sulle valli dell’Arno.
Ad ogni tornante, il rollìo della millecento provocava i rumori d’assetto del lanoso di maremma chiuso nel bagagliaio.
“ Era impaziente di vedermi…Mi ha telefonato miagolando come una gattina. Massì…che m’importa dei soldi spesi per codesto sacco di pulci…”, rimuginava l’avvocato con l’espressione di un bambino goloso che sta per papparsi una torta. “E poi, casomai glielo rivendo al marchese!”. E ridacchiò, deliziandosi della sua stessa arguzia.
La casa di caccia della tenuta di Rignano, era un’ampia baracca di pietra annidata in una radura fra le querce, raggiunta da una carraia sconnessa.
Davanti all’ingresso, il marchese, snello ed elegante con i suoi capelli d’argento bianco confabulava con i canai, fra il latrare dei segugi stipati nelle macchine parcheggiate sul retro.
“ Avvocato egregio! Che piacere averla tra noi”, esclamò Italo De Cesaris mentre pensava a quanto sia facile dissimulare i propri sentimenti.
“ Marchese illustrissimo! La sua splendida figliola ha talmente insistito che non mi sono sentito di rifiutare l’invito!”
“ Eh, la mia Ornella non fa altro che parlare di lei, avvocato! Ma cosa le ha fatto?”, aggiunse il nobiluomo, con un tono che all’avvocato parve vagamente canzonatorio.
Proprio quando gli ultimi convenevoli e le presentazioni con gli altri partecipanti alla battuta furono per esaurirsi, arrivarono gli ormatori, trafelati.
“ Sor marchese, giù verso Pietrapiana, alla solatìa, ha pasturato un bel branco, ma la novità è che proprio un chilometro addiritto, accanto alla cessa, si son Somarino 5riviste le orme del somarino!” Un brusìo attraversò i presenti. Poi Vasco, il capocaccia, chiese a voce alta: “Il somarino! Maremma sudicia! Ma sei sicuro di quel che hai visto?”
“Se son sicuro? O vacci te a vedere, se un mi credi!” ribattè il Parri, l’ormatore.
Il marchese, che era rimasto ammutolito dalla notizia, si sentì in dovere di spiegare all’attonito avvocato di cosa i suoi uomini stessero parlando, e gli raccontò di una bestia enorme, grande appunto come un somaro e cattiva più di un gatto selvatico, comparsa diversi anni prima nella zona, mietendo grappoli di vittime tra i cani che cercavano di braccarlo. E nessuno era mai riuscito a sparargli pulitamente. Alla fine, il marchese non poté fare a meno di narrargli anche la tragica vicenda del povero Rospo, un vecchio cacciatore di Figline che tre anni prima, era stato aggredito dal somarino mentre era alla posta, e lì, maciullato senza pietà. Mentre Italo De Cesaris raccontava e i canai iniziavano a discutere con il capocaccia sulla strategia da seguire, l’avvocato Birilli iniziò a sentire che pian piano la lingua gli si era come atrofizzata, e le mani, ancora una volta, si stavano ricoprendo di una patina umidiccia e sgradevole.
“Signor marchese, mi scusi se mi permetto d’interrompere il sù colloquio..”, s’intromise Vasco protendendosi in avanti. “Se le orme sono quelle del somarino, la posta fra le gemelle dovrebbe essere tra quelle meglio, per tiragli. Ci vorrebbe star lei oppure preferisce cederla a qualcun’altro?”.
Le gemelle erano una coppia di cerri cresciuti molto vicini tra di loro, che presentavano un curioso parallelismo nell’andamento del fusto, piegato come una conturbante silhouette femminile.
“Perbacco, Vasco…ma abbiamo un ospite di riguardo, oltre che un grande esperto di cinghiali: il qui presente avvocato Augusto Birilli da Firenze. Pensa, uno dei più insigni avvocati della metropoli….chi se non lui merita questo onore?”, rispose pronto il marchese. L’avvocato percepì una sensazione di mancamento.
Vasco Taddeucci quasi s’inchinò, e rispose: “Allora lassù ci si lascia lei, sor avvocato? Dovrei saperlo per organizzarmi…”.
“Marchese..” tentò il leguleio in apnea, parlando con il naso, “..non potrei mai rubarle quest’opportunità. Non sarebbe giusto… una bestia del genere…lei è il padrone di casa..”
“ Ma appunto per questo, avvocato, non posso esimermi: è mio preciso dovere d’ospitalità! E lei, perbacco, è l’ospite d’onore!”.
“ Oh si, Augusto! Prendila tu quella posta!”, pigolò una voce femminile dietro di loro. Era Ornella, sbucata come dal nulla, bella come una principessa delle fiabe nel suo completo inglese, con il collo da cigno fasciato da un foulard di seta rosa.
“ Con te lassù mi sentirò più tranquilla! Un uomo della tua esperienza nella posta più importante e..si, diciamolo, in questo caso anche la più pericolosa, dato l’animale che ci dovrebbe passare! Oddio che brividi!”, gemette leziosamente la ragazza, con un risolino. L’avvocato però, i brividi li stava provando davvero. Per paura della sua stessa voce, ridotta ad un cigolìo strozzato, aveva salutato appena la marchesina festante, la quale per suggellare l’incontro gli aveva messo le braccia al collo, inferendo il colpo di grazia all’ultimo brandello della sua volontà.
“ L’hai portato il cane?”
“ …E’ nell’auto…”, sibilò, agghiacciato.
“ Dai, tiralo fuori! Padre! Vasco! Venite che adesso Augusto ci fa vedere il suo campione!”, annunciò Ornella agitando la manina guantata.
L’avvocato, in stato di trance, fece scendere dalla macchina il cane.
Intorno a lui si formò subito un crocchio di gente che osservava ammutolita quell’esemplare fuori dal comune. Il marchese lo guardava imperterrito. Vasco Taddeucci altrettanto. Uno dei canai, Silvano, detto il Paglia per il grado d’igiene nella sua abitazione, alla fine osò chiedere: “La mi scusi, sor avvocato se per ignoranza mi permetto…ma di che razza è codesto cane?”
L’avvocato Birilli cercò di recuperare alla meglio una parvenza di tono: “ Amico mio, ha detto bene…parla per ignoranza. Come? Non ha riconosciuto la razza?”
“Veramente, con tutto il doveroso rispetto, sor avvocato, no: un l’ho riconosciuta!”
“ Ma se si vede da lontano che è un lanoso!”
“ ..Un..un che?”, fece Silvano con la bocca storta e socchiusa.
“ Un lanoso. Un lanoso di maremma! Il principe della caccia al cinghiale! Non ne avete mai visto uno?”, quasi implorò l’avvocato, teso come una corda.
Il marchese, uomo di mondo e col cervello a posto, intuì tutto: “ Ma certo…è una razza che qui da noi non si conosce tanto, ma quand’ero in cavalleria, a Grosseto, ricordo d’averne visti diversi esemplari, di lanosi. Cani indomabili, coraggiosi come leoni, dal fiuto senza pari! Belve! Vere belve sul cinghiale!”. Qualcuno deglutì, qualcun’altro si chinò per scrutare meglio il cane, altri ancora, i più esperti, strabuzzarono gli occhi, ma nessuno osò mettere in dubbio la parole del marchese De Cesaris. Il volto dell’avvocato, da marmoreo che era riprese il colorito ordinario, e l’uomo sentì che il sangue tornava a fluirgli nelle membra paralizzate dalla tensione.
“ ..Naturalmente avrà la compiacenza d’affidarlo ai canai, così lo ammuteranno alla meglio, nel gruppetto più adatto..”, aggiunse il nobiluomo alla fine della disamina.
Il sollievo per il superamento della prova cinotecnica, fu però solo momentaneo: pochi minuti dopo, più morto che vivo per l’apprensione, Augusto Birilli saliva sul carro per andare ad affrontare il somarino.

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