L’indomani mattina, dopo una notte agitata, l’avvocato Birilli s’alzò col cruccio di procurarsi un cane. Venne aggredito da una sensazione di soffocamento: per lui sarebbe stato più semplice ritrovare una goccia nel mare che procurarsi un segugio da cinghiale. Poteva chiedere ad un allevamento, ammesso di conoscerne qualcuno, ma nessuno gli avrebbe mai venduto un cane da poter ben figurare di fronte a quell’intenditore del marchese e ad i suoi capocaccia. E poi chissà quanto avrebbero chiesto: di sicuro ne avrebbero approfittato sapendo che lui era un noto avvocato della città. Ci voleva qualcuno fidato, fidato davvero.
Quel mattino, il caffè lo bevve in piazza San Marco e gli parve che la superficie scura del liquido nella tazzina, si trasfigurasse nell’orrido grifo d’un cinghiale bramoso di sventrarlo con ferocia belluina. Sentì una perla d’acqua accanto alla tempia e di nuovo una repentina essudazione gli rese viscide le dita mentre reggeva il manico di ceramica.
“ Potrei disdire…in fondo sono un uomo pieno d’affari…Si, farò così..telefonerò al marchese e gli dirò che avevo scordato d’avere un impegno..”.
S’accorse di titubare. Qualcosa lo frenava: no, non poteva. In nessun modo avrebbe potuto rifiutare. L’abilità satanica con cui la marchesina lo aveva invitato, facendo apparire la cosa come un suo desiderio personale, lo teneva saldamente incatenato al muro della propria voluttà.
Un piccione scese a becchettare le briciole di croissant cadute sotto i pochi tavolini ancora fuori. L’avvocato lo guardò, distolse lo sguardo e poi tornò a posarlo sull’uccello grigio e bianco che zampettava tra le gambe delle sedie, allungando il collo in qua e in là. Posò la tazzina con decisione ed esclamò: “Come ho fatto a non pensarci prima!”. E uscì a passo sostenuto, mescolandosi fra i passanti di via Cavour.
Novelle di caccia: La posta del Somarino
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