La caccia alla corte dei Savoia
“Piacere da gran Signori e conveniente ad un uomo di Corte”. La definizione della caccia fornitaci da Baldassar Castiglione nel suo Cortegiano (Venezia, 1528)

Da A. di Castellamonte Venaria Reale Palazzo di Piacere, e di Caccia, Ideato dall’Altezza Reale di Carlo Emanuele II Duca di Savoia, Re di Cipro etc., Disegnato e descritto dal conte Amedeo di Castellamonte L’anno 1672. In Torino per Bartolomeo Zapatta, “L’assemblea dei cacciatori” opera di J. Miel che adorna il Salone di Diana. In basso, la celebrazione delle virtù venatorie dei membri della dinastia sabauda
Ma come e cosa cacciavano ai tempi della costruzione della Reggia di Diana i Principi Sabaudi? Si ha testimonianza che ancora nel settecento era diffusa la cosiddetta “caccia delle tele” che consisteva nel recintare con reti, o tele, ampie zone di bosco e spingervi all’interno i cervi o i cinghiali. Là ad aspettare le prede in una zona opportuna del recinto su di un palco coperto, come nelle nostre odierne poste, Re e cortigiani attendevano e abbattevano a colpi di fucile cervi e, soprattutto, con l’impoverimento della popolazione di questi grandi ungulati, cinghiali. La caccia nobiliare per eccellenza in casa Savoia era quella al cervo secondo le regole della Vénerie francese, la più spettacolare, che prevedeva un cerimoniale molto complesso che durava non meno di quattro o cinque ore. “La Chasse à courre, à cor et à cri” che si
svolgeva a Venaria consisteva nello scovare un cervo maschio, nell’inseguirlo a cavallo e a piedi. Una volta raggiunta la preda anche con l’ausilio di cani, si abbatteva l’animale seguendo però anche qui un preciso rituale. Si cacciava in media due volte a settimana. Per rendere possibile lo svago del Re, dei suoi ospiti e dei cortigiani era necessario mobilitare un piccolo esercito di “addetti ai lavori” che si occupava di far sì che tutto l’apparato funzionasse alla perfezione. Tanto per cominciare la gestione del territorio reale di caccia, degli uomini e degli animali (a La Venaria si allevavano numerose mandrie di stalloni e di puledre, per ottenere cavalli adattissimi alle fatiche di guerra, vere e simulate) era affidata al Gran Veneur e Governatore della Venaria, uno dei “Piccoli Grandi di corte”. Il Gran Veneur era responsabile quindi anche del cosiddetto “equipaggio di caccia”. Oltre al Governatore di Venaria lo “staff” prevedeva altre figure quali il Gentiluomo, in pratica un vice del Gran Veneur; il Comandante del Regio Equipaggio di Caccia, che ricopriva in genere anche la carica di Governatore di Stupinigi; il Medico; il
Chirurgo; il Capo Fagianaro; i Paggi e il Priore, una trentina di Guardie del Corpo del Re, per l’eventuale difesa del Sovrano e della Corte; un Mastro; una decina di Cocchieri e altrettanti Postiglioni; una trentina tra Garzoni e Conducenti; il Direttore della Scuola veterinaria; un Mastro di stalla; tre Sottomastri e un’ottantina di Palafrenieri straordinari. Per quello che ci è dato sapere i membri dell’equipaggio di caccia dipendenti dalla Real Casa erano abbigliati con un surtout di panno scarlatto, una “veste”, un paio di “calze”, un cinturone per portare un lungo coltello da caccia e una tromba da caccia. Non solo uomini ma anche dame partecipavano alla battuta; dette “sultane” portavano sulla testa un “bonetto all’inglese” ed utilizzavano dei ventagli per ornamento e per trovare refrigerio dal caldo. Le tele conservate alla Venaria ci confermano la inaspettata resistenza di queste aristocratiche amazzoni coinvolte nelle battute di caccia. Alla base di questa piramide di figure legate alla cacciata c’erano i Valets de limier, dei tracciatori che all’alba del giorno scelto per la battuta, a piedi, accompagnati dal proprio cane limiere, addestrato a riconoscere l’odore del cervo senza abbaiare in modo da non allertarlo, si mettevano sulle tracce dei cervi.





