Nacque a Londra, figlio di un poliziotto e di una casalinga, diventò presto una delle più grandi leggende della storia del cinema. Roger Moore aveva quasi novant’anni quando il 23 maggio si è spento in una clinica svizzera dopo una breve ma coraggiosa battaglia con un nemico contro il quale nemmeno James Bond poteva fare qualcosa. Eppure, quest’uomo forte anche nella realtà e non solo sullo schermo, ha continuato ad insegnarci che non c’è età per amare la vita, per goderne ed apprezzarne le bellezze, e che non manca mai l’occasione per condividere con altri un sorso di felicità. Nella sua lunghissima ed entusiasmante carriera di attore, ci ha fatto vedere che è fattibile incarnare una leggenda e nello stesso tempo aiutare i bambini bisognosi, ed è possibile vivere
una vita che la maggior parte di noi può solo sognare, senza però dimenticarsi mai di essere umani. Per questo, per il suo straordinario impegno umanitario con l’Unicef, e non solo per essere stato James Bond, la regina Elisabetta l’ha insignito nel 2003 del titolo di “Sir”, ovvero Cavaliere dell’Impero Britannico, e sempre per questo, il governo francese gli ha concesso l’alta onorificenza di “Comandante delle Arti e delle Lettere”, privilegio riservato a pochissimi. E lui, Roger Moore, comandante lo era stato davvero in quei sette memorabili film in cui ha impersonato visceralmente l’agente segreto più famoso della storia. Per noi cinquantenni è stato il Bond per eccellenza, senza nulla togliere al grande
Sean Connery, suo venerato predecessore, e lo abbiamo invidiato quando faceva strage di cuori femminili, quando guidava a folle velocità automobili da diario dei sogni, e quando riusciva a trarsi d’impaccio da pericolosissime situazioni nelle quali nessuno avrebbe visto una via d’uscita. Classe inarrivabile anche mentre prendeva un pugno in faccia, aplomb britannico che di più non si potrebbe, ironia sopraffina, Roger Moore era irraggiungibile com’è giusto che siano i miti, ma a noi bastava sapere che c’era.
Il suo James Bond ha segnato un’epoca, un modo di pensare e di essere oramai, ahinoi, improponibili nel disgustevole “politically correct” dei desolanti tempi d’oggi, ed ha riempito di entusiasmo la nostra gioventù più bella, quella in cui gli orizzonti erano ancora inesplorati, e quando tutto aveva un altro sapore.
I raise my hat to You, Sir Moore. Thank You, and rest in peace.
My name is Bond..
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